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Illusionisti

in onda domenica 27 gennaio 2013 alle 13.25

Come si passa dai rigori del rinascimento alle contorsioni teatrali di quello che un giorno si chiamerà barocco? O meglio, in quale modo lo stile ridondante impostosi negli ambienti della chiesa dopo il Concilio di Trento si laicizzò per diventare lo stile della vita dei principi?

La prima chiesa dell’innovazione fu sicuramente quella del Gesù a Roma, iniziata da Baccio Bigio con un progetto poi rielaborato da Michelangelo nel 1554 e quindi dal Vignola nel 1568. Per quanto concerne i palazzi, con le innovazioni del Quirinale volute da Paolo III nel 1605 si assisteva ancora a impianti stilistici sostanzialmente rinascimentali. Il passaggio al barocco anche per quanto riguarda i palazzi fu sorretto da alcune personalità fondamentali: Pietro da Cortona, che cominciò a spargere i primi germi della decorazione barocca; papa Maffeo Barberini, Urbano VIII, sul soglio pontificio per ventuno anni a partire dal 1623, molto ricco e molto colto, interessato alle arti e alle scienze; Gian Lorenzo Bernini, scultore, architetto, pittore, artista completo, tra i più grandi di tutto il XVII secolo.

La combinazione dell’estro, della cultura, degli interessi di questi tre protagonisti trova la sua epifania nel Palazzo Barberini, dove Urbano VIII commissiona, Bernini progetta, Pietro da Cortona decora. Si compie il trionfo di un barocco ormai completamente a suo agio anche sul terreno laico. Colpisce in modo particolare il lavoro di Pietro da Cortona: nel salone principale si cimenta nell’ambito di una volumetria enorme, con un soffitto a fresco carico di ogni imponenza possibile ivi comprese le tre grandi api che volano come aerei minacciosi in squadriglia. L’effetto è formidabile e sancisce un nuovo modo di vedere che è andato oltre ogni parametro manierista, perché ha digerito voracemente un secolo di storia passata. Un nuovo stile decorativo che trova ulteriori conferme e salti in avanti nel Palazzo Pitti di Firenze, sempre per opera di Pietro da Cortona. Qui tutto si fa teatrale, delineando un mondo nuovo governato dall’illusionismo visivo, dove i decori parietali assumono la stessa follia decorativa che in precedenza avevano diritto di cittadinanza soltanto all’interno delle chiese.

Negli stessi anni, sempre a Palazzo Pitti, al piano di sotto lavoravano anche Francesco Furini e la coppia bolognese Mitelli e Colonna. Un percorso illustrato molto interessante esplica in modo chiaro e divertente il processo formativo di quelle decorazioni, con i gesti teatrali che sembrano aver assimilato la lezione romana vecchia già di un secolo della cappella Sistina e dei decori raffaelleschi. Qui diventano l’enunciazione di una sorta di pura follia parietale. Così si forma il gusto nuovo per il potere del principe: chi lo raccolse immediatamente fu il più fortunato di tutti, quel duca Francesco I di Modena che riuscì, unico della pianura padana, ad uscire indenne dallo scontro fra Francia, Spagna e Austria nel 1630. Un esempio di ciò è il Palazzo Ducale di Sassuolo, dove tutto è affidato al trompe l’oeil, artificio illusionistico che permette di proiettare l’architettura verso l’infinito. Un infinito di decorazioni parietali svolte sempre con l’intento preciso di sposarsi con i soffitti, dove tutto deve meravigliare, tutto deve essere creazione della fantasia, con interni ed esterni coniugati in una illusione perenne. Il “Made in Italy” di Francesco I, compresi i nastrini delle sue calze e il suo busto, opera del Bernini, era così pronto per essere esportato nella Francia governata da Mazzarino, dando luogo all’espansione internazionale del nuovo stile.

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