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Il sacrificio di Shengen e l'autogol dell'Unione

di Adriana Cerretelli

Il sacrificio di Shengen e l'autogol dell'Unione


Il 14 settembre 2015 doveva segnare l’inizio di un nuovo corso, della politica della mano tesa dell’Europa verso i rifugiati che, sempre più numerosi, da Siria, Iraq, Afghanistan ed Eritrea si rovesciano sulle sue coste e frontiere. Doveva celebrare il trionfo della svolta di Angela Merkel, il cancelliere che a fine agosto aveva aperto le porte della Germania a tutti i siriani senza remore né eccezioni e che con il suo peso, insieme al moltiplicarsi delle tragedie per terra e per mare, aveva finito per diffondere una nuova presa di coscienza collettiva, uno spirito di disponibilità quasi generale.

Invece rischia di essere ricordato come il giorno dell’implosione dell’ordine di Schengen, del principio della fine di 20 anni di spazio senza frontiere né passaporto per i cittadini europei. Dopo i muri bulgari e greci lungo la frontiera esterna con la Turchia, i reticolati ungheresi lungo quella con la Serbia, ieri è andato in scena il ripristino dei controlli per chi si muove dentro l’Unione.

Ha cominciato domenica la Germania sommersa dalla valanga dei disperati, seguita da Austria e Slovacchia. Polonia, Svezia e Finlandia si preparerebbero a loro volta a sospendere Schengen. Per ora l’Olanda ha annunciato controlli solo a campione. La Francia farà altrettanto con l’Italia se non si doterà di centri di raccolta e registrazione efficienti e credibili. In breve, se non sarà fermato subito, l’effetto domino minaccia di travolgere una conquista storica, forse il simbolo più tangibile per i cittadini delle nuove libertà europee condivise.

Come è già successo sette anni fa con il fallimento di Lehman Brothers e il terremoto che poco dopo si è abbattuto sull’euro, ancora una volta, dunque, una crisi esterna ha creato una profonda lacerazione interna europea. E ancora una volta l’Unione, che troppo spesso lo è solo di nome, si è riscoperta disarmata, priva della cultura, della consapevolezza e dei mezzi pratici necessari per gestire un’emergenza che in realtà è ben altro: una sfida strutturale che nasce dalla contiguità geografica e storica, da disparità nei livelli di stabilità e sviluppo e per questo non finirà presto.

Dopo i mesi degli egoismi nazionali continuati, ci si era illusi che un bagno di solidarietà, la riscoperta dei valori identitari europei avrebbe aiutato a risolvere la crisi, non ad aggravarla. In fondo sembrava facile mettere nell’angolo gli irriducibili, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia che rifiutano l’idea stessa delle quote di redistribuzione obbligatoria per 160mila profughi, in quanto incentiverebbero invece di risolvere il problema dei flussi infiniti. Si pensava di passare oltre mettendoli in minoranza, visto che la decisione può essere presa a maggioranza qualificata.

Clamoroso errore di valutazione. Il corto circuito tra egoismi nazionali e solidarietà europea, che per ora non riesce a farsi strada, mette a nudo l’ingovernabilità dell’emergenza: non tanto per cattiva volontà collettiva ma per l’assenza di norme, politiche comuni e strutture che permettano di farlo. Ed è così che un gesto di generosità, la fuga in avanti della Merkel ha rovesciato su Germania ed Europa un’alluvione incontrollabile e ingovernabile di umanità, numeri da capogiro che hanno fatto esplodere il sistema Schengen.

Tutto dipenderà, in realtà, dalla capacità dell’Europa di riprendere, e presto, il controllo della situazione, dentro e fuori casa. La riunione straordinaria dei ministri degli Interni ieri a Bruxelles si è limitata all’accordo di principio sulla redistribuzione di 160mila rifugiati (quasi un quarto già riallocato). Il come però resta da decidere. Il piano Juncker pare destinato ad essere amputato, se non bocciato per la seconda volta. Le quote permanenti e obbligatorie si sono dissolte, al massimo resteranno volontarie: perché i Paesi del Nord oltre a quelli dell’Est sono contrari mentre Germania e Francia condizionano l’assenso a hotspot funzionanti in Italia e Grecia, secondo un preciso calendario.

Tanto rumore, tanta commozione e qualche ambizione comune per quasi nulla? Restare alla finestra con il fiume dei profughi che rompe i suoi argini è impossibile. Per ragioni pratiche oltre che etiche. Nonostante le aspettative suscitate, l’Europa ieri non è riuscita però a rompere le catene della sua impotenza collettiva.

sito del Sole 24 Ore

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