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160 libri al giorno

Recensione - Le novità editoriali

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Le cose cambiano. Carlo Ferretti e Stefano Guerriero pubblicano per Manni “Giorgio Bassani editore letterato”. Di suo Bassani narrava la memoria, da consulente scoprì “Il Gattopardo” intanto che rifiutava l’avanguardia. Ruppe con Feltrinelli, sedotto invece dalle parole nuove di Arbasino e Manganelli. Il libro rivela l’idea di letteratura incompatibile con la flessibilità della consulenza. Pure ricorda il profilo e il tempo di scelte editoriali affidate a figure come l’autore de “Il giardino dei Finzi-Contini”, spentosi nel buio dell’Alzheimer.

Leggiamo Umberto Eco su Repubblica del 23 luglio. Si fa gioco di quelli che parlano della fine del romanzo – e cita Ariosto, Tasso, Boccaccio, Shakespeare, Luciano, Apuleio, Ovidio, Filomene e Bauci, l’Odissea, Edipo, Medea, Proserpina, Saturno, Madame Bovary, Richardson, Dafoe, Joyce, Roth, Gilles de Rais e Garibaldi – salvo indicare come prospettiva la rilettura dei classici! Citando Woody Allen, quando va in bianco con la ninfomane, nonostante lei gli abbia confessato di essere andata a letto con l’intera sezione d’archi della Filarmonica di New York: ci deve essere un dettaglio che c’è sfuggito...

Importante l’appello a Napolitano sulla questione del tetto agli sconti sui libri, che divide editori e librai (i lettori?). Fintanto che a Milano è stata promossa la petizione di raccogliere mille firme in cinque giorni per far fronte alla legge Levi (dal nome dell’onorevole Riccardo Levi del Pd, la cui decorrenza è fissata al prossimo 1° settembre e riguardo la quale Simonetta Fiori ha fatto il punto su Repubblica del 18 agosto): legge che disciplina il prezzo e insieme fissa i tetti per le riduzioni del prezzo di copertina. Subito Amazon ha indetto una conferenza stampa al fine di annunciare come reagirà ad una norma che colpisce i suoi grandi sconti (intanto che in Usa ha messo sotto contratto alcuni degli editor più bravi, avendo scelto a sorpresa di produrre volumi di carta, cambiando così di nuovo le regole del gioco e suscitando parecchie polemiche). Viceversa Feltrinelli – forse ispirandosi a “Balla coi cinghiali. Come a Woodstock ma si mangia meglio” (!) il festival gastromusicale che si tiene ogni anno a Bardineto, in Val Bormida – lancia Book Food ed annuncia trenta Gastrolibrerie dove offrire libri e cibo. Di qualità hanno detto in sede, ma si riferivano al menù. 

Parallelo a quello che ha portato alla discussa occupazione del Teatro Valle (12.000 contatti su Facebook frattanto che i romani in cambio di lezioni e spettacoli gratuiti portano ventilatori, lampade e porzioni di pasta al forno...) l’incontro nella capitale a fine luglio nel quartiere di San Lorenzo (avremmo detto Pigneto) ha gettato le basi, con tanto di Manifesto programmatico, sul TQ. Sembra una stazione di servizio, di fatto le iniziali indicano l’età media (Trenta/Quaranta) dei componenti il movimento; nel quale scrittori, editori, giornalisti e intellettuali hanno affrontato i sempiterni temi di impegno & etica; compatti al grido non si dovrebbero scrivere recensioni per gli amici (col rischio di smantellare le rubriche) e sollecitati da Andrea Cortellessa che ha chiesto minore romanocentricità (lo rimproveravano anche a Nanni Moretti, periodo “Ecce Bombo”, lui incassò e tirò dritto). Quasi in risposta, il monito del volenteroso Cortellessa, al fondo di Walter Pedullà su Il Messaggero del 30 luglio, in cui è evocato il Novecento letterario della capitale (infatti la cosa più bella è a Firenze; dove Bruno Casini, per ricordarne la figura a vent’anni dalla scomparsa, ha allestito la Mostra “Pier Vittorio Tondelli e gli anni ‘80”). Complice l’estate il progetto TQ tiene banco. Mario Baudino su La Stampa del 4 agosto trova forse le parole più pertinenti e poi cita Croce (I giovani hanno un solo dovere: invecchiare). Mentre la sfiducia è stemperata nel serrate finale di Michela Murgia, su Repubblica del 5 agosto, che bacchetta l’iniziativa per troppa ideologia; di Christian Rocca, su Il Sole 24 Ore del 7 agosto, che giudica l’esperienza alla stregua di un tormentone; di Paolo Di Paolo, su L’Unità dell’8 agosto, che chiede se sia possibile educare una comunità di lettori; infine di Elena Stancanelli, su Repubblica del 10 agosto, che non ne apprezza il linguaggio e lancia piuttosto un progetto per le scuole. Un’opera aperta. Nessuno invece, ad eccezione di Benedetto Vecchi sul Manifesto del 3 agosto, accenna a Sabot, un collettivo di scrittura più appartato. Tuttavia nella parabola TQ – c’è una parabola per tutti – è coinvolta una persona seria come Nicola Lagioia; che ha replicato agli attacchi, su Repubblica del 11 agosto, invitando a considerare l’esperimento come una risorsa. Volendogli bene non resta che augurare buona fortuna nel passaggio dalle parole alla politica, che presto farà da banco di prova alle buone intenzioni del gruppo.

Al contrario ha perso slancio il dibattito sviluppatosi sulle pagine di Repubbica e del Manifesto, e che ha coinvolto l’editoria italiana sulla riduzione della produzione dei libri. Una vecchia storia. D’estate però torna utile, almeno fin quando i redattori non raggiungono le mogli. Eppure quella di stampare meno per migliorare la qualità del mercato appare una scelta obbligata per tutti. Tranne che per Gian Arturo Ferrari, il quale si è detto contrario alla decrescita; sostenendo il business è imprevedibile e l’unico modo per massimizzare le possibilità di successo è moltiplicare i tentativi: avanti tutta.

Ci tengono da Apple a far sapere che nell’ultimo tremestre sono stati venduti 10 milioni di iPad, contemporaneamente al comunicato della British Library che ha lanciato una app per l’iPad che dà accesso a 45mila classici; mentre il simultaneo accordo tra RCS e Google Books (Google che nel frattempo ha inglobato Motorola per 12,5 milioni di dollari) prevede la disponibiità di 12mila titoli. Quindi sono ripartite le polemiche tra chi sostiene l’italiano della Rete subisca forme di imbarbarimento (trovando rifugio nel “Dizionario di stile e di scrittura”, appena edito da Zanichelli e curato da Maria Beltramo e Teresa Nesci); e chi invece ritiene le preoccupazioni siano immotivate (per esempio il linguista Mirko Tavosanis, autore de “L’italiano del web” per Carocci, già segnalato in questa sede). Mentre Wikipedia, comunica Jimmy Wales che ne è l’inventore, sta morendo: i collaboratori sono cresciuti e non l’aggiornano più. Più attivi alla Columbia University, dove hanno inaugurato un minimaster sull’ebook. Intanto che sulla falsariga della scelta tra emozione e ragione si delinea una differenza, secondo il parere di molti, tra gli utenti di Facebook, più esibizionisti e più soli; e quelli di Twitter, più legati all’informazione. Dicono il Web nel 2020 modificherà le presentazioni dei libri. Gli autori interverranno direttamente dalle loro case, magari dalla parte opposta del mondo. Del resto esistono già i quadri viventi, come quelli di Alexa Meade e Jonathan Wateridge. E’ già mutato l’approccio al cinema. Tra streaming e blog la passione per i film è alimentata da pellicole derivate da You Tube, frammentate e caricate a pezzi (come nei porno) e dove la fama del lituano Sharunas Bartas evidenzia l’impopolarità di Truffaut: uno sconosciuto (riferiscono i sondaggi) che aveva capito tutto quando girò “Fahrenheit 451”, ispirato da Ray Bradbury, immaginando una società irriducibilmente ostile alla cultura e facendo pronunciare ad uno dei protagonisti dietro ad ogni libro c’è un uomo.

Allora oggi ce ne sono troppi, di uomini e di libri. In Italia escono 160 titoli al giorno, che fanno 5000 al mese e 60.000 a fine stagione. Gli editori sono più di 2500. In particolare un grande editore stampa in media 230 libri all’anno; ricevendo almeno 2000 manoscritti inediti ogni 12 mesi, di cui ne pubblica non più di dieci. Per una casa editrice si può parlare di successo oltre le 50mila copie vendute nel primo anno di distribuzione di un titolo. Il 40% dei successi passa attraverso la libreria, che riceve mediamente 40 libri al giorno; mantenendoli in esposizione non più di un mese e dove una copertina azzeccata permette di vendere dalle 300 alle 400 copie in più, mentre il restante 60% è legato alla grande distribuzione. L’intero processo costa all’editore circa il 52% della spesa totale del libro. La distribuzione vera e propria incide del 12% e lo sconto del libraio (le cui rese intanto sono passate dall’8% al 30%) oscilla invece dal 32% al 42%.
Il settore critico rimane quello della poesia – sul quale Paolo Di Stefano ha firmato un articolo sul Corriere del 19 luglio, mettendo a nudo la penosa condizione di autori pronti a tutto per la gloria (quale gloria?) eterna – con 2400 titoli l’anno e una tiratura media tra le 500 e le 700 copie; gridando al miracolo se una raccolta di versi  oltrepassa le 250 copie vendute, e valutandola come un successo se supera le 1500.
Va detto Roma – dove si gira in questi giorni il lungometraggio di Federico Bruno dedicato alle ultime ore di vita di Pier Paolo Pasolini – detiene il primato delle presentazioni, circa 60 la settimana da settembre a giugno. Il numero di Festival, Premi e Fiere nazionali è incalcolabile, esoterico. L’unica certezza è che aumenterà, per via delle rassegne dedicate all’editoria digitale. Kafka li ribattezzava trappole per turisti.

Necessario passare in rassegna i bestseller degli ultimi decenni, seconda una revisione che appare spiazzante e che è stata riportata poco fa da La Stampa. Al principio degli anni Ottanta il libro più venduto fu “Se non ora quando?” di Primo Levi (basterebbe questo...); a seguire toccò a “Rimini” di Pier Vittorio Tondelli e a “Ballo di famiglia” di David Leavitt (con tutta l’ammucchiata Usa, da Bret Easton Ellis a Jay McInerney, che ne seguì); poco dopo il testimone passò alle bellissime “Lezioni americane” di Italo Calvino; in fine di decennio il caso letterario fu quello di “Volevo i pantaloni” di Lara Cardella (curioso, rammentando il recente “100 colpi di spazzola” di Melissa P, come ciclicamente appaia nella nostra narrativa una ragazza meridionale tormentata e di coscia svelta, mai una volta fosse di Voghera o di Belluno...); negli anni Novanta il divertimento di “Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano” di Gino e Michele, insieme alla Susanna Tamaro di “Va’ dove ti porta il cuore” (per molti una lagna, ma piaceva ad altrettanti); negli anni 2000 il saggio di Naomi Klein “No Logo” (talmente contro la globalizzazione da farne una moda) e la popolarità di Camilleri (pronta chiavi in mano per il piccolo schermo); fino a “Angeli e demoni” di Dan Brown (qui non troviamo le parole).

In televisione “Che tempo che fa”, “Le invasioni barbariche”, “Bookstore”, “Cult Book”, “Per un pugno di libri”, fino a “La banda del book”, producono, come è stato fatto notare, il telelibro, che non vuol dir niente ma suona bene. Più mirata la programmazione della radio, descritta come un’isola felice, ma come ogni isola lontana dalla terra. Intanto la Tv ha invaso Internet, impiegato per consumare informazione e intrattenimento provenienti dal piccolo schermo, come è emerso dall’ultimo desolante rapporto Censis; e come è stato ripreso da “L’Eclissi”, scritto da Bifo e da Carlo Formenti, nel quale il dialogo precario dei due studiosi tocca le implicazioni economiche e sociali dei nuovi mezzi di comunicazione. Auspicando una rivoluzione culturale; denunciando come l’informazione abbia inghiottito la politica; e come i vecchi media si reinventino, così pare, grazie alla Rete, mentre specularmente la Rete ne imiti i linguaggi. A volte sembra di parlare di una tonnara.
Si sbilancia Gianni Celati, che a Franco Marcoaldi su la Repubblica dello scorso 12 luglio dichiara: «Sono tra coloro che ancora pensano alla scrittura come a un atto gratuito». Gli fa eco Alfonso Berardinelli sul Corriere del 14 luglio. Accusa la poesia, alla stregua dell’arte contemporanea, di incomprensibilità. Aggiunge: «Gli autori ignorano il pubblico e il pubblico ignora loro».  

In America la cronaca informa Jill Abramson è diventata lo scorso giugno la prima donna a dirigere il New York Times. Bel colpo. Ed è bello apprendere Dave Eggers ha pubblicato per la sua casa editrice MacSweeney’s il libro “A Moment in the Sun” del regista John Sayles, padre spirituale del cinema indipendente Usa. Improntato su un episodio della guerra ispano-americana del 1898, il volume di Sayles è stato rifiutato da tutti i più importanti editori per via della sua lunghezza di 1000 pagine. Eggers, che è anche l’autore de “L’opera struggente di un formidabile genio”, non solo lo ha pubblicato ma ne ha condiviso l’originale promozione. Una Toyota ibrida a noleggio con cui Sayles e la sua compagna Maggie (che documenta l’esperienza su johnsaylesbaryo.blog-spot.com) attraversano il paese; visitando biblioteche e librerie, e infine facendo amicizia con lettori e bibliotecarie. Insomma, prendendoli sul serio.
Non scherzano neppure in Francia, dove l’arte è di stato. Lo ha ripetuto il ministro Frédéric Mitterand a Repubblica, in un’intervista rilasciata il 5 agosto. Nonostante la crisi, ha spiegato, sono stati salvati dai tagli sia i musei che il cinema e il teatro. Il governo non ha toccato il bilancio del 2011, ha proseguito, e i fondi stanziati sono arrivati a 9 miliardi di Euro. La Francia inoltre è stata tra le prime nazioni a fare la legge per bloccare gli sconti sui libri, ha continuato il ministro, e Amazon non ne ha risentito. Siamo un modello, ha concluso Mitterand. Lo era anche Simenon, che ignorava Kafka, non leggeva Joyce, gli era estraneo Cèline e nel tempo libero cercava compagnia: eppure scriveva 80 pagine al giorno (alla fine faranno 431 romanzi, tra cui 103 Maigret, e 10.000 donne delle quali, confidenza riportata da Fellini, 8000 prostitute). Nell’entusiasmo generale La Vita Felice ripubblica “Sulla libertà di stampa”; il pamphlet di Denis Diderot, stampato nel ‘700 in pieno Illuminismo. Scrive la censura è inutile e gli autori sono immortali. «Parigi è stata per me, prima di tutto, Alain Delon», ricordava Romy Schneider. Noi ricordiamo Corrado Sannucci, collega dello sport, cantautore, scrittore. Aveva nostalgia di un ristorante a Place des Vosges, nel quartiere del Marais: pare che del bollito facessero un’estetica.

Non facciamo in tempo a tirare il fiato sulla letteratura che, sempre da quelle parti, la rivista “Les Inrockuptibles” lancia l’allarme su un altro fronte: chiunque può comprare una macchina fotografica o uno smartphone, qualsiasi mezzo va bene per riprendere e registrare. Grazie alle nuove tecnologie digitali, ammoniscono da Parigi, tutti possono fare un film. L’importante è avere qualcosa da raccontare (e qui cominciano i guai). Dopo aver lanciato il sasso quelli di “Les Inrockuptibles” devono averci ripensato (sono vent’anni che portiamo l’avanguardia nelle edicole, diamoci un taglio!). Basta con le tendenze, numero triplo dedicato al sesso (si trova anche da noi, nelle edicole del centro) pieno di donne nude e immagini sconcie, come usava una volta. Tira. Meglio ancora in Germania – ci informa Vanna Vannuccini su Repubblica dell’11 agosto con accurata citazione dal testo – perché Charlotte Roche, dopo il successo di “Zone umide” (in Italia Rizzoli), ci riprova con “Preghiere del grembo”. Nella trama Elisabeth è sposata a Georg e sul più bello si chiede: «Il mio cervello femminista, mentre ho il pene di mio marito nell’ano, mi vuole dissuadere che la cosa sia eccitante. Però la parte terminale delle mie viscere mi convince che può essere molto piacevole. A chi devo dare retta?». Impossibile dare una risposta ad agosto. Poco personale per indire una riunione. Rimane la regola d’oro: dimenticare l’entrata per arrivare alla fine.


A cura di Vittorio Castelnuovo

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