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Giallo Materano
"Le voci della Pietra"






  • 6° -Il geometra prese una sedia un po’ sgangherata e si accomodò. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette sgualcito e fece un cenno verso l’architetto, che scosse il capo. Poi cominciò a parlare. Si chiamava Felice. Un nome strano, tenuto conto che nessuno mai l’ha visto ridere, a quanto mi dicono. Vi ho già detto che teneva un brutto carattere, praticamente senza amici, la generazione sua per il grosso è emigrata e quelli che sono rimasti si sono arrangiati: erano anni difficili. Pure Felice ci provò, ma dopo qualche mese se ne tornò perché in città non trovò niente. Anzi, qualcosa trovò: una moglie. Una ragazza bella, mi ha detto il barista, ma che si vedeva pochissimo in giro perché il marito era gelosissimo. Una gelosia malata, archite’: di quelle che tolgono il respiro a chi la prova e a chi la subisce. Insomma, pare che per via di questa gelosia un giorno Felice volle tornare a casa dal pascolo prima del tempo, camminando di notte. Cadde e si spezzò una gamba. Allora non era come a mo’, che te la rimettono a posto in quattro e quattr’otto. Lui rimase zoppo, e questo lo incattivì ulteriormente. Mi ha raccontato sempre il barista che certe volte si sentivano rumori che venivano da qua dentro, come se qualcuno spaccasse la legna con rabbia. !17 Come che fu, ebbero una figlia. Una ragazza che mandarono a scuola, ma che come il padre non fece amicizia con nessuno. Poi la ragazza si sposò, ma… Ma?, chiese l’architetto. Non so, rispose incerto il geometra spegnendo a terra la cicca. Dev’essere successo qualcosa, il barista è stato vago e i vecchi che stavano nel bar non hanno aggiunto una parola. Mi hanno detto che la ragazza è tornata a casa, dal padre e dalla madre. Ma sono cose successe molti anni fa, quindi non ci giurerei. Io vi posso dire che per farmi raccontare la storia mi sono dovuto bere una bottiglia intera di vino, e stamattina tengo un mal di testa da competizione. Comunque dopo pochissimo la moglie e la figlia sono scomparse. In che senso, scomparse?, chiese l’architetto. Nel senso che non si sono viste più, e le rare volte che Felice usciva da casa per andare a comprare qualcosa si trattava di quantità minime. Per una persona sola, insomma. E nessuno gli ha chiesto niente? La voce dell’architetto era bassa, come se avesse paura di essere sentito da qualcuno. La testa era piena del fastidioso mormorio. Certo che gliel’hanno chiesto, rispose il geometra. In questa città ognuno si fa i fatti suoi, d’accordo, ma solo in apparenza. Siamo troppo pochi per non accorgerci che la gente non ci sta più dalla sera alla mattina. E lui, Felice, raccontò che la moglie aveva deciso di tornarsene in città, dai parenti suoi; e che la figlia l’aveva seguita. Si conosceva il carattere dell’uomo, e nessuno gli diede torto alle due donne ad essersene andate. Lui, da parte sua, pareva che se ne fregasse. Ma forse voleva solo far vedere, e dentro ci soffriva. Chi lo sa. Poi, dopo alcuni anni, è morto pure lui, in solitudine. Il barista mi ha anche detto che qualcuno avrebbe voluto avvertire la moglie, ma non si sa niente, neppure come si chiama. Perciò, dopo un po’, si sono rassegnati tutti quanti ed è finita la storia. !18 Dopo un attimo, l’architetto si alzò e si guardò di nuovo attorno. Corrugò la fronte, aguzzando la vista nella penombra. Poi disse: e questo cos’è? Mi sono svegliata qui. La testa mi pulsa, sento il sangue colarmi sul collo. L’odore della calce, il buio, il silenzio. Il bavaglio sulla bocca mi fa respirare con difficoltà, le mani e i piedi legati toccano pareti attorno. Che posto è questo? Sento l’odore di lei, di nostra figlia. La tocco, a pochi centimetri da me. E’ calma, non si muove, ma respira regolarmente. Non risponde ai miei gemiti disperati, sento solo il mio mugolio da gatta, come in quei sogni in cui vorresti urlare e la voce non viene fuori. Perdo forza. Cado nel vuoto. Ti ho visto, sai, papà? Apprezzo che, anche legata e imbavagliata, tu mi abbia lasciato vedere mentre preparavi la calce, le pietre. E capisco tutto, capisco che lo fai per noi. Che la sicurezza che volevi per la tua famiglia, la protezione dal mondo può essere in fondo qui, solo qui. In queste mura. Il geometra seguì lo sguardo dell’architetto e chiese: che cosa? Qui, indicò l’uomo. Questa parete, non vedete? Il geometra si avvicinò al muro e capì quello che l’architetto tentava di indicargli: la parete tra la prima e la seconda stanza mostrava un dislivello, come un gradino. Picchiettò prima col tacco della scarpa, poi con le nocche della mano. Nel silenzio il rimbombo suonò profondo. E’ vuoto, archite’, disse. E fece cenno al muratore, che si appressò col piccone. !19 Anche l’architetto si avvicinò, e all’improvviso il sordo rumore di voci sommesse che faceva da sfondo ai suoi pensieri spezzandoli e rendendoli monchi cessò.

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