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Lo squassante «trasloco» di un’Ambasciata

Caro direttore, 
l’annuncio che il presidente Trump si appresta a spostare l’ambasciata degli Stati Uniti d’America da Tel Aviv a Gerusalemme è di una gravità che è difficile sottostimare. Di fatto è un riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele da parte della prima superpotenza mondiale. E questo cambia l’attuale già precario status della Città Santa, che è tale per tre religioni, nel quadro delle relazioni tra Stato d’Israele e Autorità palestinese e, più in generale, dell’intera area mediorientale. Un salto nel buio. Di cui tutti (o quasi) hanno colto o possono valutare la pericolosità.

Al di là della motivazione tutta interna alla politica americana (mantenere uno degli impegni presi in campagna elettorale) di un Presidente in difficoltà, e che cerca lo 'stato di crisi' all’estero per allontanare lo spettro di una messa in stato di accusa, non si capisce la reale motivazione geopolitica di una simile mozza. La preoccupazione immediata espressa dal presidente francese Macron a nome dell’Europa la dice lunga sulla situazione. L’altolà dell’alleata Turchia è sintomatico di quale sarà l’atteggiamento del mondo musulmano. Altri non aspettano che di incassare i dividendi di un’ulteriore perdita di credibilità sulla scena geopolitica mondiale degli Usa, servita su piatto d’argento con un’inutile esibizione di muscoli.

Lo stesso Stato d’Israele mentre risponde piccato alle esternazioni di Erdogan appronta piani di sicurezza militare in vista di quel che potrà succedere. Ma l’uomo semplice della strada, e sono tanti nel mondo, si chiede: a chi e a che cosa serve tutto questo? Alla sicurezza di Israele? (...)

continua sul quotidiano Avvenore del 6 dicembre

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