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Progetto Verdi: Macbeth (seconda versione)

in onda venerdì 18 ottobre alle ore 21,00

Progetto Verdi: Macbeth (seconda versione)

Più volte nella mente di Giuseppe Verdi l’idea di apportare modifiche alla sua “Macbeth” era balenata, senza realizzarsi mai; nel 1852 il direttore dell’Opéra ne aveva richiesto a Verdi una versione per Parigi, ma solo 18 anni dopo la prima fiorentina il compositore portò in Francia – al Theatre Lyrique - un’opera quasi totalmente nuova, che di quella originaria conservava praticamente solo il primo atto.

Dal 1847 al ’65, i cambiamenti furono copiosi: Verdi apportò aggiustamenti e modifiche un po’ in tutta l’opera, con una tendenza a disfarsi delle stereotipate forme chiuse nelle quali l’espressività e la mutevolezza dei caratteri verdiani stavano ormai decisamente stretti.

Ecco allora oltre alle obbligatorie danze aggiunte nel terzo atto, rinnovate e raffinatissime orchestrazioni, un finale del tutto nuovo (in cui brillano il fugato della battaglia ed un coro quantomai vario ed intenso) ma soprattutto la grande scena di Lady Macbeth del secondo atto, che aldilà del Piave e del Maffei ebbe in pratica come librettista il Verdi stesso.

Tali cambiamenti furono frutto non tanto della necessità di corrispondere alle esigenze del teatro francese quanto della volontà verdiana di lasciare il segno della sua evoluta poetica anche in un’opera del passato, che anni addietro era stata in realtà – al termine dei convulsi “anni di galera”, la sua prima opera intimamente e profondamente nuova ed originale.

 “Macbeth” inoltre non era per Verdi un lavoro qualsiasi: in essa – come abbiamo avuto modo di vedere – per la prima volta la sua personale ispirazione si era confrontata e in parte identificata con l’amatissimo genio di Shakespeare.

Ancor più che nel ’47, le scelte di Verdi ci riportano - con i dovuti adattamenti - a criteri creativi di monteverdiana memoria: all’alba del ‘600 si era voluto affermare come la musica dovesse mettersi al servizio della parola, in questo ottocento ormai maturo l’azione drammatica si rivela sulla scena più importante di un belcanto quasi fine a se stesso.

Ai cantanti Verdi richiedeva una duttilità estrema, in cui la parola ed il canto si compenetrassero in un declamato melodico arduo e non convenzionale; qui,  precisamente nella parte baritonale del protagonista maschile, compaiono anche ossessive ripetizioni per semitoni: come le modulazioni nell’armonia, così i cromatismi nella melodia dimostrano l’errare di un canto mai spiegato ma sempre contorto nel dubbio e nell’angoscia.

Anche la parte di Lady Macbeth in questa versione francese si fa più matura; la già impervia vocalità del soprano protagonista – altrove da noi analizzata – si inasprisce nei contrasti tra cromatismi e grandi distanze arpeggiate.

Il tutto nel segno di una complessità esecutiva che trova la sua chiave di lettura non tanto nella tecnica – o almeno non solo - quanto in una abilità interpretativa strettamente collegata all’espressività; Verdi, ormai sempre più musicista e regista insieme, necessita qui di quei cantanti-attori che nel teatro d’opera di allora erano ancora piuttosto rari.

Tutto questo il pubblico del Theatre Lyrique non lo seppe comprendere, e l’opera non ebbe il successo sperato, anzi ricevette aspre critiche proprio mentre - contemporaneamente - l’Opéra osannava “L’Africaine” di Meyerbeer, prototipo di quel grand-opéra che ancora pareva soddisfare il gusto dei francesi.

Per noi invece il “Macbeth”, particolarmente in questa matura ed evoluta versione parigina, rappresenta per la musica e la drammaturgia una delle opere più moderne non soltanto del compositore italiano ma del teatro musicale di tutti i tempi.

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