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Gas, missili, misteri. E teorie del complotto

La verità è la prima vittima della guerra. Dopo gli attacchi chimici del 4 aprile che hanno ucciso decine di persone a Khan Sheikhoun nella provincia di Idlib e dopo i raid americani del 7 aprile contro la base di Sharyat in Siria, restano delle domande aperte, che provocano un proliferare di accuse, teorie del complotto e incertezze sul futuro.

Perché Assad avrebbe usato i gas?
La situazione diplomatica e militare giocava a favore di Bashar Al Assad. Con l’aiuto della Russia e dell’Iran ha messo in ginocchio i ribelli; e gli Stati Uniti avevano appena dichiarato di non considerare una priorità il cambio di regime. Perché allora rischiare tutto usando quello che gli americani «sono piuttosto sicuri» fosse gas sarin? Nel 2013 un simile attacco a Ghouta portò sull’orlo di un intervento americano. Il fatto che da un punto di vista strategico una mossa simile sembri insensata è l’argomentazione chiave presentata dai sostenitori di Assad (e non solo). Osservatori come Seymour Hersh hanno diffuso dal 2013 in poi notizie non confermate che alcuni gruppi jihadisti siano in grado di produrre o abbiano usato gas chimici.

Diversi esperti replicano che quella che sembrerebbe un’azione incomprensibile di Damasco, è in realtà una strategia deliberata di escalation della violenza contro i civili. Dal 2012 in poi il regime ha bombardato con l’artiglieria, gli elicotteri e i jet, e anche dopo l’accordo per la rimozione delle armi chimiche monitorato dagli ispettori internazionali, avrebbe condotto almeno tre attacchi con gas al cloro, con scarse reazioni internazionali. In cerca di una vittoria definitiva, la provincia di Idlib, controllata da un misto di miliziani qaedisti ed altri appoggiati dagli Usa e dai loro alleati, è cruciale. È rimasta una delle poche roccaforti nemiche ed è situata su un’autostrada chiave che collega la città di Hama alle località ribelli del nord. Beyza Unal, specialista di armi chimiche del think tank britannico Chatham House, dice al Corriere che «usare le armi chimiche non è razionale ma i regimi non operano in modo razionale, l’abbiamo visto nella Storia. Quando prevedono che non ci sarà reazione, scelgono l’opzione che considerano migliore. Usare le armi chimiche è un’arma psicologica importante per demoralizzare completamente i nemici, dimostrando la propria totale impunità».

La versione della Russia — e cioé che un jet siriano avrebbe in effetti bombardato Khan Sheikhoun, colpendo un deposito di gas che però era in possesso dei ribelli — non regge a suo parere. Seppure alcuni gruppi siano sospettati di essere in possesso di gas cloro e gas mostarda, «produrre e soprattutto conservare il sarin, un gas nervino altamente instabile richiede competenze che non credo i ribelli abbiano. Ci vogliono molti soldi e strutture adatte. Possibile che nessuno, né i satelliti né l’intelligence sul campo lo avessero rilevato? E perché non hanno adoperato quest’arma, limitandosi a conservarla?». Allo stesso tempo, Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, constata che purtroppo non disponiamo di prove definitive: «Senza volere assolutamente assolvere un regime sanguinario, io vorrei vedere una missione sul posto».

I russi sapevano dell’attacco chimico?
I media americani sollevano il sospetto di una «complicità» dei russi nell’attacco a Idlib. La base di Sharyat è usata anche da personale di Mosca. Se, come dice il Pentagono, da lì è partito il jet siriano che ha sganciato i gas, è possibile che Mosca non sapesse che Damasco ne era ancora in possesso? Il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ha ricordato che Obama non intervenne militarmente nel 2013, per via dell’impegno di Damasco, concordato con i russi, a eliminare tutte le armi chimiche. «O la Russia è complice oppure è stata incompetente nel portare a termine la sua parte dell’accordo», ha detto Tillerson. Domanda ancora più delicata: Mosca sapeva che il regime intendeva lanciare un attacco chimico? Cinque ore dopo che i gas si sono sollevati da Khan Sheikhoun, un aereo non identificato ha bombardato l’ospedale nel quale venivano curate le vittime. Il Pentagono indaga per capire se sia stato un jet russo, allo scopo di distruggere le prove. Secondo l’intelligence Usa, un drone russo sorvolò quell’ospedale poco prima, ma queste ricognizioni sono di routine e non può essere provato che l’operatore sapesse cosa stava accadendo.

Il raid Usa che danni ha provocato?
Diversi osservatori dichiarano che la base di Sharyat è stata «quasi completamente distrutta», inclusi hangar, depositi di munizioni e piste. Gli Usa sostengono che solo uno dei 59 missili Tomahawk ha mancato il bersaglio, mentre i russi affermano che solo 23 hanno colpito la base e hanno mostrato le immagini di due hangar e due jet intatti. A questo si accompagnano diversi conteggi delle vittime. Secondo la tv Abc la base era stata in gran parte evacuata — facendo pensare che Mosca (informata preventivamente dagli Usa) abbia avvertito Assad (gli americani affermano comunque di aver evitato di colpire le caserme del personale). Per Damasco sono stati uccisi almeno 7 soldati e 9 civili tra cui quattro bambini, anche se la base è a una certa distanza dalle zone abitate. Bilanci a parte, resta un dubbio sul lungo periodo: è possibile per l’America alterare il corso di una guerra simile con raid limitati e simbolici? Gli studiosi rispondono di no. Bisognerebbe colpire al cuore il regime, non necessariamente rovesciando Assad, ma distruggendo in modo significativo le infrastrutture dell’aviazione. Ci si domanda pure: che cosa ne sarà ora della lotta all’Isis, che era la priorità più volte ripetuta di Trump in Siria?

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