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Progetto Verdi: Il Trovatore

in onda martedì 17 settembre alle ore 21,00

Progetto Verdi: Il Trovatore

Prosegue l’inarrestabile cammino di Giuseppe Verdi verso l’affermazione di un linguaggio musicale e drammaturgico del tutto innovativo: tra la storia antica (Rigoletto) e la quotidianità contemporanea (Traviata), ”Il Trovatore” punta sulla potenza della fantasia quasi fiabesca in una Spagna idealizzata e passionale.

Per quest’opera, tratta da un dramma di García-Gutiérrez andato in scena in Spagna nel 1836 con successo definito “apoteosico”, si è solitamente posato l’accento sulle divergenze tra compositore e librettista nelle complesse fasi di gestazione del lavoro: Verdi era attratto soprattutto dal carattere contraddittorio (”strano e nuovo”) del personaggio della zingara Azucena, fulcro di un complesso dramma di violenze subite e commesse; al Cammarano, che avrebbe preferito risolvere con un’insana pazzia le problematiche del personaggio, egli scriveva: ”Non fare Azucena demente … i suoi sensi sono oppressi, ma non è pazza”.

Non pazzia d’amor passionale quindi quella di Azucena, ma piuttosto trauma di una bimba testimone e poi responsabile di morte, tragedie consumate proprio nel mondo più prezioso tra gli ideali di Verdi, quello degli affetti familiari.

Veri protagonisti dell’opera sono infatti amor materno e amor filiale, intessuti su una trama che pare grezza nella sua connotazione macroscopica (un amore contrastato, alcune misteriose stregonerie e qualche delitto) ma si complica ed intreccia così finemente da spostare continuamente l’attenzione e contraddire ogni certezza che lo spettatore crede acquisita.

Nello svolgersi della storia non sempre è palesemente chiaro chi sia figlio di chi, chi uccida o chi venga ucciso, e come già notammo per “Rigoletto” anche i caratteri non sono mai univoci bensì mutevoli, mettendo in luce ora aspetti positivi ora lati oscuri dei singoli personaggi; la chiarezza assertiva della musica convive con il continuo sovrapporsi di piani e ruoli, negando affermazioni assolute.

Ciò vale per tutti i protagonisti; Leonora (pensata inizialmente da Verdi addirittura come comprimaria) che, apparentemente debole vittima d’amore, si rivela attiva eroina di singolare coraggio; Manrico, cantore ma guerriero, che oscilla tra passione amorosa e amor di figlio; Azucena, colpevole e vittima, la cui ferocia l’immenso dolore stempera e quasi giustifica, con esplosioni alternate ad espressioni di rara mitezza e dolcezza; infine il Conte di Luna, la cui passione per Leonora rivela risvolti volgari ed inumani.

I quattro quadri in cui la vicenda si articola, con ricchezza di suoni evocativi (dai rintocchi al martello all’atmosfera del chiostro) ed oggetti simbolici (il fuoco, il rogo) sono perennemente avvolti dal buio: un buio diverso da quello sintetico ed asciutto di Macbeth, pieno qui di presenze vere o evocate - e il racconto indiretto è la forma preferita da Verdi per presentare il personaggio o narrare gli eventi.

Superate le perplessità testuali nonché alcune difficoltà censorie contingenti, Verdi – insieme al Bardane che proseguì il lavoro del defunto Cammarano –concluse l’opera, che vocalmente offre agli esecutori tutti i colori del canto scenico, dalla massima veemenza ad accenti di delicatissimo canto al virtuosismo (”Lungi da me l’idea di rifiutare al pubblico quello che vuole. Mettetelo il do acuto se volete, purché sia buono!”).

Nelle intenzioni di Verdi la musica deve seguire i drammi, sovrapposti e collegati, senza limitazioni formali in pezzi chiusi: ”Quando mi si presenta della poesia da potersi mettere in musica, ogni forma, ogni distribuzione è buona, anzi più queste sono nuove e bizzarre io ne sono più contento”.

Molto contento fu anche il pubblico romano, che accorso al Teatro Apollo nel ’53 accolse con calore l’opera, per vedere la quale aveva affrontato in quella sera di gennaio anche lo straripamento del fiume Tevere.

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