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L'ultima foglia sull'albero

Recensione - Le novità editoriali

Capita a tutti di non sapere a volte come ingannare il tempo. Anche in Inghilterra. Il Giornale del 1° novembre riporta la decisione della casa d’aste Omega Auctions di vendere un raro cimelio: un dente appartenuto a John Lennon, che il cantante pare si fosse fatto estrarre tra il 1964 e il 1968 e che poi regalò ad una signora, Dorothy Jarlett, che in quel periodo gestì un appartamento di sua proprietà a Weybridge, nella zona sud est di Londra. I responsabili si augurano di batterlo all’asta per una cifra compresa tra le 20 e le 30 mila sterline. Qualcuno ci casca sempre. Peggio la storia, proveniente sempre da quelle parti, che ha visto protagonista la censura; la quale,  nonostante la rinnovata popolarità ottenuta dal recente film di Steven Spielberg, ha scelto di accanirsi sul secondo episodio delle avventure di Tintin, “Tintin in Congo”, uscito originariamente nel 1931. Il volume infatti è stato rimosso dalle sezioni delle librerie dedicate all’infanzia e spostato nel reparto per gli adulti, avvertendo i lettori esso contiene contenuti razzisti. Il fumetto incriminato raffigura il personaggio creato da Hergé seduto su di una portantina di bambù retta da servitori neri. Il caso è stato raccontato da Fabio Cavalera sul Corriere del 5 novembre. Pure ricordando che Hergé, vero nome Georges Remi, avesse manifestato ottanta anni fa atteggiamenti inaccettabili nei confronti delle popolazioni africane,  la decisione di applicare ora una forma di censura lascia perplessi. 

Ancora dall’Inghilterra apprendiamo, leggendo Benedetto Vecchi sul Manifesto del 3 novembre, della parabola di Julian Assange; in margine la decisione della Royal Court Of Justice di Londra che ha stabilto potrà essere estradato in Svezia, dove lo attende un processo per stupro. Mentre la battuta di Hanif Kureishi (Gli Indignati sono punk!) raccolta da Gabriella Gallozzi su L’Unità del 3 novembre, rivela la parte più eccitante della cultura anglosassone. L’autore di “My Beatiful Laundrette”, inglese di origini pakistane, dichiara: Il punk quando è nato negli anni Settanta ha avuto origine in un contesto di grave crisi sociale e economica. Erano gli anni del thatcherismo e anch’io ho iniziato allora. C’erano rabbia, disgusto e molti atteggiamenti provocatori. Ma allo stesso tempo grande preoccupazione per quello che stava accadendo nel paese. Anche i Clash avevano a cuore l’Inghilterra! Epifania da juke-box. 

Allora citiamo i versi tratti da “Bad As Me”, l’ultimo disco di Tom Waits – Sono ormai l’ultima foglia sull’albero / L’autunno porterà via il resto / Ma non prenderà me – che si adattano a definire il nostro rapporto con la poesia. Ne abbiamo ancora bisogno. Così leggiamo il saggio di Andrea Zanzotto su Paul Celan, nella raccolta di quest’ultimo intitolata “Poesie sparse pubblicate in vita” e da poco stampata da Nottetempo (e ricordiamo le poesie a tema dello stesso Zanzotto, a poche settimane dalla morte, raccolte in “Il cinema brucia e illumina”, per Marsilio). Rileggiamo “A Coney Island Of The Mind” di Lawrence Ferlinghetti, poeta ed editore beat che Minimum Fax celebra con la ristampa del suo libro più celebre. Restiamo in America e scopriamo grazie alla lettura di “So benissimo quanto ho peccato” (Guanda) il volto meno conosciuto dell’irriverente Charles Bukowski Quando venne fuori, negli anni Settanta, era detestato dalla critica più seria (in Italia capeggiata da un arrabbiatissimo Goffredo Fofi) ed amato invece dai lettori più giovani. Ma era anche uno che in privato studiava Céline e sognava la poesia come la grazia che riunisce tutte le cose. Ma le pagine più toccanti, come riporta il Manifesto del 10 novembre in un lungo articolo di Franco Voltaggio, sono quelle, pure se espresse in prosa, de “L’imperatore del male” (Neri Pozza); una biografia del cancro scritta dal medico Siddhartha Mukherjee, che improvvisatosi narratore ha vinto il Pulitzer con un testo nato da un dialogo con una paziente. Battezzato da Ippocrate, studiato da Galeno, a lungo trattato solo con la chirurgia, il cancro è un processo di crescita cellulare che pare seguire un preciso progetto. Nel libro l’oncologo indo-statunitense ricostruisce l’evolversi del lungo rapporto tra la specie umana e una patologia che ci accompagna dall’antichità.

Stride l’atteggiamento degli artisti rispetto alla storia e alla trasformazione del gusto. Il sessantenne Richard Galliano, fisarmonicista francese apprezzato per via delle sua numerose contaminazioni, dice ad Andrea Laffranchi sul Corriere del 6 novembre che quella di oggi – a cominciare, specifica, dal rap – non è più musica e che i deejay sono dei clown. Lo stesso giorno La Stampa, in margine un paio di rassegne svoltesi a Torino, riporta invece le parole dei protagonisti dell’elettronica Alva Noto, Apparat e Kode 9. E chiude con un’intervista al cinquantaquatrenne Karl Hyde, che insieme a Rick Smith formò a suo tempo gli Underworld (quelli di “Born Slippy”, l’inno della cultura techno che divenne il brano portante di “Trainspotting”, il film generazionale di Danny Boyle tratto dal romanzo di Irvine Welsh). Intelligentemente Hyde fa notare come quell’esperienza unì il pubblico della dance e quello della musica indie, fino ad allora contrapposti. Unire.

L’attesa febbrile per l’evento dell’anno, in un’epoca soppressata di eventi, trova finalmente riscontro su Repubblica del 5 novembre, che dedica quasi tutta la pagina della cultura al nuovo romanzo di Haruki Murakami “1Q84”. A Dario Oliviero, che lo va a trovare a casa, lo scrittore giapponese parla in ordine sparso delle sue casse stereo, della possibilità di aggiudicarsi il Nobel, di Raymond Carver, della sua collezione di dischi, di Glenn Gould (che ci sta sempre bene, quando uno vuole fare bella figura) e di un divano italiano sul quale si appisola ascoltando esclusivamente Shubert. Una vitaccia. Nella parte centrale del paginone Paolo Mauri aumenta il carico e ne parla come del nuovo Dickens. A noi tutto questo – con l’aggiunta dell’annuncio si tratta di una trilogia, e per il resto toccherà attendere il 2012 – somiglia ad una strategia commerciale, né più né meno. Il libro di fatto non è ancora uscito, ma è ufficiale: si tratta di un capolavoro.

Intanto, per non restare indietro (come sarebbe bello, invece...) tutti si impegnano contemporaneamente ad annunciare il nuovo. Il nuovo è dappertutto. Riccardo Luna, su Repubblica del 7 novembre, anticipa i lavori dell’Internet Governance (al via in questi giorni a Trento) dove si farà il punto sullo stato della Rete in Italia, e sulla possibile partecipazione di tutti alla gestione dell’attività pubblica. Democrazia aumentata? Speriamo. Raffaele Simone, su Repubblica del 6 Ottobre, annuncia che il trionfo dell’e-book moltiplica in tutta Europa il fenomeno dei salotti letterari; il web ha creato una community degli e-reader dove si intrecciano critiche e commenti, ed è stato creato persino un software nel quale ognuno può leggere le osservazioni ad un testo scritte dagli altri. E’ necessario, evidentemente. La conversazione settecentesca, riprende Marc Fumaroli in un riquadro interno, ha ora preso la forma di un’immensa chat culturale. Il pensatore francese si chiede: è sufficiente per essere ottimisti? 

Poi è la volta di Luca De Biase che sull’inserto Nòva 24 del Sole del 6 novembre, sostiene la televisione è stata riaccesa da Internet: con la Rete che definisce i nuovi business; con You Tube che cambia il vecchio paradigma, coniugando i produttori di contenuti con i video dal basso; con il palinsesto che adesso coincide con l’agenda delle persone e delle comunità. Ernesto Assante lo stesso giorno su Repubblica – dopo aver riepilogato il glossario di Web Tv, On Demand e Sharing; e aver dato una rispolverata ai vecchi significati di Palinsesto e Orizzontale –  mette al corrente dell’ambizioso progetto di Google, da cinque anni proprietaria di You Tube: il lancio nelle prossime settimane di oltre cento canali televisivi sulla Rete, con contenuti originali realizzati con partner d’eccezione come il Wall Street Journal e star come Madonna. Nella stessa pagina prova a ragionare Vittorio Zucconi, corrispondente di Repubblica negli Usa; che riflette come oltre i 900 canali, che il suo fornitore via cavo gli offre attualmente, ora dovrà fare i conti con questi 100 appena promessi da You Tube. E conclude: mille canali e niente da guardare. 

Speriamo piuttosto siano infondate le voci, riportate in settimana da tutti i quotidiani (per esempio il Messaggero del 10 novembre a firma di Marica Stocchi); secondo le quali sarebbe a rischio per mancanza di fondi, con riferimento al taglio del finanziamento da parte degli enti locali, la Fiera nazionale della piccola e media editoria, giunta quest’anno alla decima edizione. Speriamo non accada. Altrimenti toccherà fotocopiare l’articolo, apparso sempre il 10 sul Corriere, del Maestro Daniel Barenboim; il Direttore musicale della Scala che riparte dal pensiero, definisce l’impegno e ammonisce l’intellettuale il quale, scrive, deve restare un eterno antagonista. Infine esorta tutti a non credere ai politici.


A cura di Vittorio Castelnuovo
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