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Lavoro, gli occupati recuperano i livelli 2007

La pubblicazione dei dati Istat sulle forze di lavoro per il 2016 permette di fare un bilancio dell’ultimo decennio e dei 1.000 giorni del governo Renzi. La prima buona notizia è che lo shock occupazionale della grande crisi è superato: il numero degli occupati è oggi praticamente uguale a quello del 2007, con 567mila lavoratori in più rispetto all’annus orribilis 2013. La seconda buona notizia è che per due importanti dimensioni il mercato del lavoro è diventato più moderno: nel corso del decennio è aumentata in misura sensibile sia l’occupazione femminile sia quella degli adulti maturi. La terza buona notizia è che nel triennio 2014-16 gli occupati sono aumentati in misura maggiore di quanto era lecito attendersi, dato il fiacco incremento del Pil: poiché si tratta in larghissima misura di occupazione dipendente, tutto fa pensare che il costo (non solo economico) di un nuovo assunto sia effettivamente diventato meno gravoso.

Accanto a queste buone nuove, ci sono tre cattive notizie. La più drammatica – a nostro avviso – è la crisi occupazionale che investe gli uomini adulti: fra il 2007 e il 2016 la proporzione di uomini occupati in età 30-50 anni è diminuita dal 90% all’82%, e neppure nell’ultimo triennio si osservano sensibili variazioni di tendenza. Questa caduta di occupazione degli uomini adulti è la principale imputata del pesante incremento della povertà: oggi la proporzione di famiglie in povertà assoluta (non in grado cioè di comprare il cibo o di pagare le bollette) è quasi doppia se il capofamiglia è disoccupato (20%) rispetto al caso del capofamiglia operaio (12%), e queste proporzioni crescono ancora se in queste case ci sono due o più figli minori. Questo fatto – a nostro avviso – pone seri interrogativi sull’opportunità di agevolare in modo selettivo le assunzioni dei giovani, rischiando di penalizzare gli adulti disoccupati. Non va certo alimentata una guerra tra poveri, ed è necessario mettere effettivamente in atto politiche attive di accompagnamento al lavoro senza limiti di età.

Il secondo problema riguarda i giovani. Anche se nel 2016 l’occupazione giovanile dà cenni di risveglio, nel corso del decennio il numero dei giovani occupati è diminuito in misura impressionante: nel 2106 i lavoratori giovani erano un milione in meno rispetto al 2007, mentre la proporzione di studenti in età 15-29 è rimasta pressoché costante (43% fra gli uomini e 48 fra le donne) e il numero di giovani è rimasto quasi inalterato.

Il terzo problema è l’accentuazione dell’annosa sperequazione territoriale. Nel 2016 rispetto al 2007, gli occupati al Centro-Nord sono aumentati di 317mila, mentre al Sud sono diminuiti di 405mila. E’ vero che nel corso del decennio la popolazione in età lavorativa è aumentata al Centro-Nord (per effetto dell’immigrazione straniera) e rimastra pressoché costante al Sud, ma questo fatto non attenua la drammaticità della situazione del Mezzogiorno, dove in alcune province particolarmente deprivate la proporzione di occupati può essere anche la metà rispetto alle più floride province settentrionali.

E’ evidente che le cattive notizie sono collegate con quelle buone. In particolare colpisce che l’aumento degli occupati over 55 (un milione e 600mila in più fra il 2007 e 2016) sia praticamente identico alla diminuzione degli occupati con meno di 55 anni. E’ vero che nel corso dell’ultimo decennio, la popolazione della classe 15/74 è invecchiata,.ma l’età media dei lavoratori è aumentata a una velocità più che doppia. Questa differenza è dovuta alla progressiva messa a regime della riforma pensionistica, con la brusca accelerazione a partire dal 2012, in seguito alla nota riforma delle pensioni.

Senza la legge Fornero, tale adeguamento ci sarebbe stato lo stesso, ma sarebbe stato più lento e si può stimare che nel 2016 il numero di occupati maturi sarebbe di almeno mezzo milione inferiore (ma la spesa pensionistica di almeno 7 miliardi superiore!). E’ stata una riforma che ha in parte allineato il mercato del lavoro ed il welfare italiano all’allungamento della vita: gli squilibri che ha generato derivano innanzitutto dalla timidezza delle riforme precedenti. Tuttavia, sarebbe sbagliato dimenticare che la riforma Fornero ha verosimilmente contribuito a rendere più difficile trovare un lavoro per i giovani e per gli adulti.

Le misure del triennio 2014-16 (decontribuzione delle assunzioni e jobs act), con tutta probabilità hanno mitigato questi squilibri, permettendo che il continuo incremento di lavoratori maturi non penalizzasse ancora di più gli adulti e i giovani, contribuendo altresì alla ripresa dell’occupazione giovanile durante il 2016. Ma per ritornare all’occupazione pre-crisi, anche fra i giovani e fra gli adulti – visto che la permanenza sul lavoro degli over 55, a legislazione vigente non potrà che continuare a crescere – sarà necessario creare altre centinaia di migliaia di posti del lavoro al Centro Nord come al Sud. E perché ciò accada non è sufficiente agevolare ulteriormente le assunzioni, ma l’Italia deve imboccare con decisione la strada di un continuativo e vivace sviluppo economico.

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