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Progetto Verdi: La forza del destino (seconda versione)

in onda venerdì 1° novembre alle ore 21,00

Progetto Verdi: La forza del destino (seconda versione)

I rifacimenti di una composizione possono avere motivazioni esterne oppure rispondere ad esigenze più intime dell’autore; nel caso di ”La Forza del destino”, revisionata per La Scala nel 1869, Giuseppe Verdi volle assecondare entrambe le istanze creando un lavoro che, seppure in gran parte fedele alla prima versione del ‘62, mostra una propria precisa identità.

L’opera aveva avuto dopo quella di S. Pietroburgo altre rappresentazioni (Madrid e Roma - qui col titolo “Don Alvaro” - nel 1863) con ugual esito non soddisfacente; per alcuni anni il musicista tenne vive nella sua mente le osservazioni fatte al suo lavoro, riguardanti non tanto l’amplissima estensione o l’eterogeneità interna (e per la versione del ’62 rimandiamo alle nostre note corrispondenti) ma soprattutto la violenza senza appello dell’infausto finale, dove le morti dei protagonisti lasciavano quasi allibito un pubblico pur avvezzo ai colpi di scena ma sempre desideroso di una consolatoria glossa conclusiva.

Tra il ’63 e il ’68 nei generosi carteggi verdiani troviamo spesso riferimenti all’opera: ”Ho pensato alla “Forza”. Oh è ben difficile aggiustarci le gambe! … Bisogna pensare a fare qualche cosa alla “Forza del destino”, ma prima di tutto bisogna pensare allo scioglimento e trovare il modi di evitare tanti morti … Si dice che la “Forza del destino” sia troppo lunga, e che il pubblico sia spaventato dei tanti morti! D’accordo, ma una volta ammesso il sogetto … il difficile sta nel trovare questo maledetto scioglimento”.

Il finale dell’opera pare il principale oggetto della questione, quindi modificato quello, trovato lo scioglimento, tutto avrebbe dovuto essere a posto; invece così non è, poiché mentre Verdi lascia quasi inalterate alcune parti dell’opera ne modifica sostanzialmente - e sostanziosamente – molte altre, secondo questo sintetico schema: I atto pressoché invariato; II atto con diverso finale (la celebre “Vergine degli Angeli”); il III atto è quello che presenta le aggiunte più importanti, da Verdi completamente sovvertito nel suo ordine interno, nel susseguirsi delle scene; infine il IV ed ultimo atto matura, come preannunciato, una conclusione profondamente differente dalla versione iniziale.

Al finale cruento di fatti e di parole (“Orrore! ... Orrore! ...Pietà, misericordia, Signore!!!”) Verdi sostituisce un finale in diminuendo, circonfuso di un’alta spiritualità che ne è la grandezza lapidaria: Alvaro – non più suicida - esclama di Leonora "Morta!", subito corretto dal Padre Guardiano col celebre "Salita a Dio!" che imprime all’opera una fortissima direzione ascensionale e risolutiva.

Questa “svolta spirituale” fu impressa secondo alcuni da un incontro importantissimo per Verdi, a lungo agognato dal musicista e realizzatosi nel giugno del 1868, quello con Alessandro Manzoni; forse semplicistico attribuire all’influenza della profonda religiosità manzoniana il nuovo anelito catartico che Verdi manifesta nella“Forza”, ma sta di fatto che in questo finale troviamo una nuova volontà di ricomporre le tragedie umane in un destino universale illuminato dalla fede.

In aggiunta – o meglio a complemento del discorso che Verdi affronta nel rielaborare così in profondità le architetture dell’opera – altro evidentissimo cambiamento è nell’introduzione strumentale al lavoro: nella rappresentazione russa del ’62 il Preludio aveva durata contenuta e presentava temi musicali collegati ai soli tre protagonisti; per Milano le 96 battute diventano 263 e Verdi sostituisce il Preludio con una Sinfonia, costruzione complessa e del tutto completa ed indipendente - e come tale ancor oggi spesso accolta nei programmi concertistici.

In buona sostanza quindi Verdi per la rappresentazione milanese (che riscosse grande successo) ricrea simmetricamente inizio, cuore e conclusione della sua opera che, mantenendo in entrambe le versioni tutta la sua bellezza, è un altro step imprescindibile nello splendente cammino del genio verdiano.

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