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Il nuovo villaggio globale e dintorni

Recensione - Le novità editoriali

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Pure considerando le ricerche portate avanti negli anni Cinquanta da Theodor Adorno e da Max Horkheimer, per tacere delle precedenti analisi di studiosi come Rudolf Arnheim, la riflessione teorica sui mezzi di comunicazione si è sviluppata soprattutto a partire dagli anni Sessanta. Grazie il contributo, tra gli altri, di Umberto Eco, che intorno la figura di Mike Buongiorno scrisse un celebre saggio; e del canadese Marshall McLuhan, colui che inventò la definizione di Villaggio Globale e sul quale esce in questi giorni un’interessante biografia pubblicata da Isbn. 

Nel corso del tempo la politica non è certo rimasta a guardare, come hanno appena dimostrato due libri: “Ripartiamo!”, stampato dal piccolo editore Add, con raccolti gli interventi radiofonici del Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt negli anni Trenta; e “L’uomo dello schermo”, pubblicato da Il Mulino e curato da Riccardo Brizzi, che illustra il legame tra Charles De Gaulle, uno dei protagonisti della storia politica europea del Novecento, e il mondo dell’informazione.
Dunque viviamo da tempo nell’era della comunicazione e di conseguenza aumentano i libri dedicati all’argomento: forse sono persino troppi. Senza contare come la diffusione di Internet, che giorno dopo giorno cambia i contenuti del pubblico e del privato, ha fornito in sede critica una nuova frontiera di riflessione. Poiché – come si affrettano a ricordarci gli esperti, sempre più numerosi – molta parte dell’informazione si è trasferita on line. 

Ne é prova il bel saggio “Mainstream”, per i tipi di Feltrinelli, che il ricercatore Frédéric Martel ha dedicato alla cultura di massa, ai molteplici cambiamenti derivati dalla globalizzazione, e infine alle rinnovate strategie adottate dai media. Strategie che, nonostante tutte queste novità, continuano ad avere nel modello americano, secondo il ragionamento di Martel, il principale termine di riferimento.

Da tempo infatti uno degli argomenti più dibattuti, dagli studiosi come dalla gente comune, è quello dell’impatto della Rete sulla nostra vita (per esempio sul linguaggio, come ha documentato Mirko Tavosanis ne “L’italiano nel web”, edito da Carocci). Al punto che Nicholas Carr ha lanciato un grido d’allarme in un libro intitolato “Internet ci rende stupidi?”, pubblicato da Cortina. Il libro ha suscitato la reazione di Maurizio Ferraris, che tempo fa sulle pagine di Repubblica ne ha stroncato l’ipotesi di fondo. Lo stesso resta condivisibile la preoccupazione di Carr riguardo il rapporto con la tecnologia e di come questa dinamica, improntata secondo la sua tesi sulla nostra passività, abbia irrimediabilmente mutato in molti campi i rapporti di forza.

Ma l’epoca di Google ha ripresentato e amplificato vecchi ed irrisolti problemi, come quello del copyright. A parte l’eccellente “L’invenzione della libertà di stampa” – scritto da Edoardo Tortarolo, per Carocci, che inquadra storicamente il problema altrettanto delicato della censura – sull’argomento della tutela ha scritto un libro illuminante, intitolato “Pirateria” e pubblicato da Bollati Boringhieri, il Professore americano Adrian Johns. Il quale arriva a mostrarci, lungo le 717 pagine della sua importante ricerca, il ruolo persino propulsivo che le violazioni legali hanno talora svolto. E che ci rammenta come la posta in gioco non riguardi solo malfattori e danneggiati, bensì coinvolga i diritti di tutti.
Infine arriva Stefano Cristante, di cui da tempo apprezziamo il lavoro, e dopo la nostra fatica nel provare a raccontare sommariamente anni e anni di ossessione per l’informazione, ci riporta ancora più indietro (!) con il suo bel saggio “Prima dei mass media”, realizzato da Egea. Dove ricorda ai lettori che la necessità, e via via la definizione, della trasmissione di informazioni siano state evidenti sin dall’alba dell’uomo. E’ un lavoro davvero ben fatto perché lungo un indovinato approccio narrativo, cui non è estraneo un brillante elemento didattico, permette di scoprire, a noi che gioco forza siamo incagliati nel contemporaneo, come la comunicazione abbia necessariamente ricoperto un significato strategico durante l’intera storia umana.

Ugualmente si fa apprezzare “Storia del cinema italiano”, scritto dal bravo Lino Aulenti (per le edizioni libreriauniversitaria.it) il quale attraverso un’apprezzabile capacità di sintesi racconta come questa forma d’arte abbia raccontato lo sviluppo del nostro paese, svelandone le miserie ma indicando anche le prospettive. Aulenti si era già fatto notare all’interno di quella fucina di talenti che è il gruppo di lavoro di Falsopiano; ma qui raggiunge un risultato diverso, mettendo insieme competenza e accessibilità – non è un’operazione da poco – e ricordandoci come il cinema sia una eccezionale forma di comunicazione.

Torna in mente la recensione di “Odissea nello spazio”, il fil capolavoro di Stanley Kubric, apparsa su L’Europeo il 2 gennaio del 1969 a firma di Ennio Flaiano. Scriveva: Le macchine un giorno vinceranno (...) per la semplice forza del numero, per la loro proliferazione incessante, che l’uomo non può arrestare, perché sembra ormai evidente che il suo scopo principale è fare macchine. E aggiuneva: a Roma hanno già vinto.


A cura di Vittorio Castelnuovo
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