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Narrativa italiana

Recensione - Le novità editoriali

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Persino l’ex ministro della Cultura Sandro Bondi, sul numero di Panorama del 19 agosto, bacchetta il movimento TQ (dei Trentenni e dei Quarantenni dei quali, in altri tempi e in altri luoghi, si è già parlato). «Sognano il Soviet» dichiara, ma in fondo reca loro un favore poiché attorno al combattivo progetto i fuochi si sono un pò spenti e le parole (persino quelle audaci come i best-seller sono visti da TQ come sintomi dell’epidemia neo-liberista!) appaiono usurate. Per non contare quelli che ne prendono le distanze. Cose che succedono. Lyotard inventò il postmoderno negli anni Ottanta come fine delle ideologie. Poi mentre tutti si riempivano la bocca, se ne dissociò: era entrata la politica.

Leggiamo cinque libri pubblicati da Zero91. Una dritta di Alex Pietrogiacomi, che è un amico. Sempre per il teorema TQ (Mai più recensioni agli amici! Piuttosto rubriche in bianco) dovremo far finta di non conoscerlo. Allora resterebbero i nemici: quelli meglio per la vecchiaia. Lo suggeriva Flaiano e quando lo scriveva era più faticoso mandarne a ramengo uno: carte bollate, file alla posta, Olivetti inceppate sul più bello. Ora in pochi secondi è fatta. E poi non c’è limite. Rammentiamo una signora australiana, mentre mortificava un piatto di tortellini accoppiandolo con un cappuccino schiumato, declinare il plurale vaffanculi! La madre di tutti gli inoltra.

Invece dal catalogo Zero 91 segnaliamo Corrado Farina, che con “L’invasione degli ultragay” raggiunge quota sei romanzi. Testo irreale, corrosivo. Poi nella qualità della scrittura ritrae la nostra comunità, e mostra l’inadeguatezza sul privato e gli orientamenti sessuali.
Bello “Quello che manca” di Paolo De Lazzaro. Era già bravo a narrare calcio firmandosi Kammmamuri. Conosciuto a casa di amici (quanti amici). Partita in televisione con trionfo di arancini e olive ascolane in mezzo a una banda di guardoni privi di femmine, assetati di sangue e con continue visioni di fuori gioco al limite della psichedelia. Ne ricordiamo uno lasciato sull’uscio di casa perché presentatosi in ritardo e ammesso solo nel secondo tempo, dopo 45’ passati sullo zerbino, per non deviare il flusso astrologico della partita. Da denuncia. Di Lazzaro si lascia dunque alle spalle compagnie equivoche e primitivi rituali da tempo libero, e il suo romanzo di ambientazione metropolitana è quasi una sceneggiatura in certi bozzetti. Ricorda vecchi film, la vita di quartiere, qualcosa che non c’è più. Il giallo è un pretesto, sotto è più ampio. Requiem per una latteria. Il pallone gli ha fatto bene.
Alessandro Camiletti è pazzo e “La guerra di Dio”, ambientato nel 1200, è la prova che lo inchioda. Scrittura sontuosa, fiducia nella storia e forse anche nelle azioni degli uomini. Suona anche, pare sia bravo. Va isolato. Daniele Vecchiotti non è pazzo ma è perverso nella sua intelligenza; conosce le donne in “La signorina cuori infranti”, oltre le tecniche per arrivare bene alla fine. In quello che fa c’è dolcezza e rispetto. Agrodolce “Camilla Portafortuna” di Stefano Ceccarelli, finalmente consegnato a un finale non scontato. L’autore dimentica le propria bravura e cede a una scrittura libera. Lasciarsi andare per uno sceneggiatore è più difficile. Sono irregimentati pure loro.

Un box celebra e dilata la traccia originale di “Nevermind” dei Nirvana e la trasforma in quattro Cd e un Dvd, sulla falsariga di precedenti operazioni (Clapton, Who, Stones, Miles Davis). E’ il triondo del modernariato pop. Allungati i film per le serate sul sofà: “Apocalypse Now”, “Blade Runner”. La voce Contenuti Extra sui menu dei Dvd promette mirabilia, ma poi succede poco o niente. Però succede bene. A settembre tocca a “The Dark side of the moon”, la rapsodia mistica dei Pink Floyd. Un romanzo d’appendice in zampa d’elefante. Lo show business trasforma il passato in hit-parade; si nutre di resti, annusa residui alla stregua di tartufi. Amy Winehouse è la prossima. Da viva ha pubblicato due album. Ora può dare di più. Uguale in letteratura: i manoscritti di Carver, prima li tagliasse l’editor Gordon Lish; la versione di “On the road” di Kerouac, direttamente dal celebre rotolo (bisognerebbe parlarne prima o poi, quanta gente lo trova noioso: e se lo fosse sul serio?); la nuova “Fiesta mobile” di Hemingway, riportata in vita dal nipote. Che parenti premurosi. Arsenico e diritti d’autore. Per tacere delle vedove. Pare abbia cominciato quella di Gustav Mahler, Alma (occhio lungo e molti mariti). Via via le altre. Dalla signora Bukowski alla signora Kubrick, giunta in un’occasione fino a Pescara per raccontare la discrezione del marito. Appunto. Esporre tutto, abolire la misura, inventare ricordi. Del resto, chi controlla i ricordi?

Autore di canzoni ispide, Kurt Cobain passò in un lampo dalla carboneria underground al trionfo di “Nevermind”. Una volta suonò un lacero accompagnamento musicale in un monologo di William Burroughs, il demone della letteratura. Il brano si intitolava “The priest they called him” e durava circa dieci minuti. Parlava di un prete tossicomane che alla vigilia di Natale trova per strada una valigia con dentro un corpo smembrato. «Aveva qualcosa di infantile, fragile e smarrito che mi attraeva; ma c’era qualcosa che non andava in quel ragazzo, si incupiva senza ragione», disse l’autore de “Il pasto nudo”. Quando compose la canzone rock definitiva, “Smells like teen spirit”, Cobain aveva in testa i Pixies; il furioso gruppo post-punk che egli apprezzava per lo stile dissacrante e i brani spigolosi e frenetici cantanti in gergo spanglish (!). Il brano scaturì dalla frase Kurt smells like teen spirit (che può essere tradotta in Kurt profuma di spirito adolescenziale) che Kathleen Hanna, un’amica dell’artista ospite una sera a casa sua, scrisse sul muro dell’abitazione. Cobain la prese come un complimento, pensando si trattasse di un modo carino di fargli sapere che lo riteneva ancora in possesso dell’energia ribelle di un giovane arrabbiato. Fu solo dopo aver registrato il pezzo si rese conto che Teen Spirit era il nome di una marca di deodorante femminile per ascelle, messo in commercio dalla Mennen. Ora è il titolo della canzone che fa dell’angoscia una celebrazione. Che fa questo oggi?

Nella settimana che registra l’addio, per motivi di salute, di Steve Jobs dalla carica di amministratore delegato della Apple; la notizia che il digitale segnerà il trionfo dell’auto-pubblicazione, tanto che in Italia gli editori si attrezzano con la nascita di piattaforme per chi vuole lanciare i propri testi, provoca la drammatica profezia di Ewan Morrison: In futuro l’ebook eliminerà gli autori, resteranno solo esordienti. Nessuno celebrerà l’angoscia, non prima almeno di averne parlato col proprio agente; mentre sulla Rete tutti sembreranno felici di stare insieme. La più divertente invece l’ha riporta il Corriere del 25 agosto: l’uomo napoletano è patrimonio Unesco? Fermiamoci qui.


A cura di Vittorio Castelnuovo

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