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Rapporto Italiani nel Mondo 2013

Condizioni di vita e di lavoro dei giovani italiani in Europa in tempo di crisi

Da anni l’Europa è presa nella morsa della crisi: lo ricordano i quotidiani e i telegiornali tutti i giorni, i saggi scritti dagli economisti di tutto il mondo,le omelie dei parroci. Ne sono consapevoli anche i giovani europei che da troppo tempo ormai sono alle prese con inedite quanto impreviste difficoltà. Sempre più frequentemente le giovani generazioni sono costrette a fare i conti con la riduzione del benessere a cui erano state abituate in passato. Dai principali dati delle due ricerche ACLI riportate nel Rapporto
Italiani nel Mondo 2013 a cui si rimanda per i dettagli, emerge che soltanto il 50% degli intervistati ha dichiarato di non aver avuto difficoltà ad acquistare beni e servizi sul mercato negli ultimi tempi; al contrario, la restante metà dichiara di aver avuto questo tipo di problemi qualche volta (33,5%) o spesso (16,2%).

Più in generale, la riduzione della spesa sembra essere la strategia che gli under 35 mettono in atto per reagire alla crisi: il 64% circa del campione ha ridotto fortemente l’uso del telefono e si registrano anche drastici tagli per il riscaldamento (62,6%) e per le prestazioni mediche (27,1%).

Dall’indagine quantitativa, dunque, emerge una diffusa tendenza alla riduzione del budget spendibile per acquistare beni e servizi. Contrazione che in qualche caso può intaccare anche la capacità di badare a se stessi e al proprio benessere fisico. Si tratta, forse, dei primi segni del progressivo impoverimento cui sono sottoposti i cittadini europei, in special modo i giovani. La vita quotidiana degli intervistati tende a divenire ogni giorno
sempre più difficoltosa, almeno sotto il profilo economico. Il fatto stesso di non poter mantenere uno standard di spese essenziali rende molto ardua la gestione del presente, ma soprattutto rende ancor più incerto l’avvenire.

In questo quadro il lavoro gioca un ruolo essenziale. Come è possibile immaginare, per un giovane (ma non solo) la possibilità di avere un impiego retribuito è di fondamentale importanza per la programmazione della vita futura: l’abbandono del nido, la possibilità di crearsi una famiglia, la decisione di avere figli, ecc. sono scelte che dipendono molto dal possesso di un reddito disponibile, oltre che dai sistemi di welfare nazionali. Tuttavia, pur mantenendo una notevole rilevanza nell’immaginario giovanile, il lavoro negli ultimi anni, a causa della sua scarsità e della sua modesta generosità anche rispetto ai diritti, tende ad assumere venature cupe.

Gli intervistati mostrano di sapere bene che quelli che verranno saranno anni difficili: in molti di loro alberga il timore di non riuscire a mantenere il tenore di vita attuale (56,1%), mentre per oltre 6 giovani su 10 l’incubo peggiore è di non poter garantire un futuro alla propria famiglia. Anche chi può contare sulle sicurezze di un lavoro non è al riparo da ansie. Quasi il 60% degli intervistati del nostro campione svolge un’attività retribuita, di questi poco più della metà è impiegata stabilmente (53%), mentre il resto è impegnato in attività temporanee o saltuarie. Ebbene, se si può considerare fisiologico il fatto che il 71% degli intervistati occupati a “tempo determinato” abbia il timore di non essere riconfermato dopo la scadenza contrattuale, appare poco rassicurante che più di un giovane su due occupato stabilmente abbia lo stesso tipo di preoccupazione (il licenziamento improvviso).

Il fatto che i giovani italiani sembrino aver percepito prima degli altri l’arrivo della crisi anche nella solida Germania e altrove in Europa, è forse dovuto al fatto che si trovano ad essere al confine tra più mondi vitali (quello delle comunità immigrate e quello d’accoglienza, almeno). Che ciò sia visto in termini positivi (appunto come possibilità di appartenenze multiple, che moltiplicano strumenti di conoscenza e di informazione) o negativi (l’essere al margine, e quindi più esposti, in una società che non li ha perfettamente integrati), tale funzione di cerniera, comunque, consente loro di leggere meglio i segnali e di interpretarli. Da questo punto di vista la loro qualità di essere antenne sensibili andrebbe meglio studiata e valorizzata.

Anche se le opinioni e i comportamenti dei rispondenti sembrano accomunati da una profonda e diffusa incertezza, i dati delle indagini suggeriscono che sarebbe un errore pensare che i giovani subiscano la crisi economica tutti allo stesso modo. Alcuni cambiamenti, anche lievi, del profilo sociale ed economico possono determinare differenze sostanziali circa le loro condizioni e i rischi relativi.

Per capire meglio quali siano i fattori che espongono gli intervistati a maggiori rischi sociali è stato elaborato un indice di fragilità, costruito incrociando le seguenti variabili: occupazione, reddito e necessità di pagare un affitto. Sulla scorta di questo indice sono stati suddivisi gli intervistati in due gruppi distinti: da una parte, i socialmente fragili, ossia persone che mostravano posizioni critiche rispetto alle dimensioni prese in esame (es. un reddito inferiore a 1000 euro mensili e un affitto da pagare), dall’altra persone che non correvano particolari rischi (es. reddito alto e casa di proprietà). I risultati di questa operazione di approfondimento non sono confortanti: i socialmente fragili tra i giovani sono il 62,4%, contro il 37,6% di coetanei non a rischio.

Ci si accorge facilmente che al diminuire dei componenti familiari aumenta la percentuale dei soggetti fragili. Pur senza mai scendere al di sotto del 50%, le proporzioni di soggetti socialmente fragili passano dal 57% di chi vive insieme a due o più persone (il più delle volte in famiglia) al 61% di chi invece vive in compagnia di un partner (o comunque di un altro individuo). La situazione peggiora di molto quando si analizza il valore assunto dai soggetti che vivono da soli. In questo caso la percentuale dei fragili è pari all’80%, ben 18,2 punti in più della media campionaria. Da questi incroci si evince che vivere insieme ad altre persone (soprattutto in famiglia) costituisce un antidoto alla fragilità.

La famiglia assume la funzione di “scialuppa di salvataggio” per i giovani costretti ad affrontare le insicure rapide della crisi economica internazionale. Essa, infatti, sembra essere una risorsa ampiamente sfruttata dagli intervistati: il 59,3% dei rispondenti ascrivibili all’area della fragilità sociale ha ammesso di aver chiesto un sostegno economico ai parenti, in special modo ai genitori.

Ma quali sono, qualora si siano rese necessarie, le rinunce affrontate dai giovani? Intanto occorre notare che ben il 46% riferisce della necessità che si è posta di compiere rinunce rispetto al passato, ma ancor più interessante è considerare la loro tipologia: per il 20% del campione sono state esercitate nei confronti di viaggi e vacanze e per il 10% verso divertimenti e consumi culturali. Ricodificando in categorie generali le rinunce operate, si evince che la riduzione in termini di vita sociale ha pesato per il 14%. Se si scende nel dettaglio, e si ragiona anche su ciò che è stato ridotto oltre a ciò che è stato eliminato, si osservano ampie contrazioni in molti campi: i percorsi di studio e/o formativi si contraggono del 23%, l’acquisto di quotidiani e riviste del 54%, al pari della palestra, l’acquisto di libri del 60% e la frequentazione di ristoranti e pizzerie addirittura del 71%.

Se è facile intendere che i giovani operino le maggiori rinunce sul fronte della vita sociale, che diviene un bene sacrificabile se non addirittura un lusso in tempi di crisi, nondimeno si intuisce la portata e le conseguenze di tale privazione: da un lato, infatti, specialmente per i giovani italiani all’estero, la rinuncia ai viaggi si traduce molto spesso nell’impossibilità di tornare in Italia a visitare parenti, amici e luoghi di origine, con relativa difficoltà di curare i legami identitari; d’altra parte è agevole comprendere come ciò significhi una perdita secca anche per i giovani che vivono in
Italia, rappresentando il viaggio un’importante opportunità di crescita e di confronto culturale.

Lo stesso dicasi per gli altri tipi di rinuncia osservati: la contrazione nella vita sociale e le privazioni sul fronte della formazione, del benessere fisico ed interiore, dell’informazione e dell’approfondimento, non solo impediscono di rigenerare le energie e di cogliere occasioni di crescita, minando l’equilibrio personale, ma rischiano di intaccare la possibilità stessa di alimentare il legame sociale, che sta alla base di una sana vita collettiva. Non si tratta, quindi, solo di rinunce ad un ipotetico superfluo di cui, per necessità, occorre privarsi; bensì di rimodulazioni dello stile di vita che, sebbene apprezzabili sotto il profilo di una maggiore e talvolta dimenticata sobrietà, possono avere serie e deprecabili conseguenze a lungo termine sulle dimensioni fondanti il benessere personale e collettivo. Per non dire dell’incidenza di tale aspetto sulla valenza dell’identità italiana e della sua eredità, che sopravvive in contesti culturali anche molto diversi, ma che necessita di percorsi di conoscenza della lingua e della cultura del nostro Paese per poter dialogare con tutte le altre.

In questa situazione di rischio e di disagio sociale i giovani non si sentono supportati, né accompagnati, dalle istituzioni, che per tre quarti degli intervistati sono intervenute poco o per nulla a sostegno delle persone in difficoltà a motivo della crisi. Migliore il giudizio riservato al non profit, sul quale apparentemente i giovani intervistati sentono di poter fare maggiore affidamento: anche in un periodo critico come quello attuale, la richiesta alle istituzioni pubbliche è quella di essere informati più che assistiti, accompagnati piuttosto che presi in carico. Infatti, quali servizi utili per loro in questo momento hanno indicato principalmente l’avere informazioni sulle opportunità occupazionali (31,6%) e l’essere informati circa il ventaglio di servizi disponibili (19,3%), con percentuali che aggregate superano la metà del campione. Sembra, dunque, che i giovani italiani in Europa chiedano un sostegno in termini di empowerment piuttosto che di assistenza: un’azione promozionale che supporti volontà e talento.
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