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In una città atta agli eroi e ai suicidi

Recensione - Le novità editoriali

In una città atta agli eroi e ai suicidi giampiero mughini trieste svevo saba joyce

di Giampiero Mughini
Editore: Bompiani

Il pubblico conosce bene Giampiero Mughini, tra i volti più noti della tv, meno la sua personalità. Ma nella nostra società – ormai ribattezzata la società dello spettacolo, sulla scia di un celebre libro del filosofo francese Guy Debord; celebre e poco letto, pure perché di non facile lettura – il particolare di non conoscere le persone non è più fondamentale. I protagonisti dei programmi televisivi li apprezziamo o meno non tanto per le loro doti professionali, che anzi a volte ci sfuggono, quanto per il modo con cui tengono la scena. Questo è quello che conta in una comunità di guardoni come la nostra; e sulla base di una dinamica così effimera siamo convinti, pure non frequentandoli in privato, di poter formulare un giudizio sui nostri amici virtuali. Anche tra di loro i personaggi pubblici non si conoscono affatto. Si accontentano. Ricordiamo una puntata della popolare trasmissione satirica di Italia 1 “Le Iene” nella quale furono interpellati i protagonisti di “Contro Campo”, il programma sportivo dove per anni Mughini ha spopolato, proprio per sondarne il grado di conoscenza nei confronti dell’istrionico compagno di lavoro. Ebbene nessuno ne sapeva niente; a parte fosse tifoso della Juventus (!), croce e delizia della sua immagine pubblica.

Invece la vicenda professionale di Mughini è molto più importante e merita un accenno. Le sue prime apparizioni in tv furono a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, quando cominciò a partecipare regolarmente al “Maurizio Costanzo Show”. All’epoca egli era un apprezzato giornalista, con una lunga carriera alle spalle; amico di Leonardo Sciascia; autore di testi in contro tendenza come “A via della Mercede c’era un razzista”; e attore in due film come “Ecce Bombo” e “Sogni d’oro”. Era un osservatore obiettivo della sua generazione – raccontandone la contraddittoria parabola ne “Il grande disordine”, una delle testimonianze scritte più significative dei turbolenti anni Settanta – ed è probabile quella forma di lucidità gli sia costata molte amicizie in una stagione successiva della sua vita. Ma quella catena di affetti e di ricordi in lui non si è mai spezzata; come documentò in un commovente articolo apparso su Il Foglio nel dicembre del 2006, ricordando la collaborazione ma prima ancora l’amicizia poi interrottasi con Nanni Moretti.

Dotato di uno spiccato senso della comunicazione, Giampiero comprese presto le regole del gioco e le adattò alla sua personalità. Capì le parole da sole non bastavano. Così cambiò innanzitutto il suo guardaroba, rivolgendosi al laboratorio – non un semplice punto vendita, come aveva intutito l’inventore dell’Estate romana Renato Nicolini, che per primo trent’anni fa ne colse la novità – di Massimo Degli Effetti; il quale aveva provato il percorso di artista figurativo, prima di continuare ed estendere l’attività di famiglia, occupandosi di tessuti ed affiancandosi le tendenze più estreme, quelle che avrebbero fatto avvicinare il mondo effimero della moda con quello senza tempo dell’arte e della cultura. In breve Giampiero divenne un personaggio: un templare della pop art prestato al piccolo schermo e ai suoi inutili screzi. Roba da ridere, per uno che si era fatto le ossa nelle riunioni poitiche durante gli anni di piombo. Forse intervenne sulla forma – cominciando ad alzare il volume della voce, facendosi scappare di tanto in tanto qualche acuto, non andando più dal barbiere, sedendosi come se di lì a poco dovesse partecipare ad una performance del Living Theatre – certo non ritoccò il contenuto, che restò di prima qualità pure se combinato con tutto quel repertorio scintillante.

E fu il repertorio a restare impresso nella gente; mentre egli ribadiva la propria dimensione intellettuale, lontano dai riflettori, arrivando a scrivere ventidue libri. L’ultimo dei quali, dedicato a Trieste e alla sua civiltà, è uno dei più belli; con gli appassionanti racconti delle vite di Italo Svevo, James Joyce, Umberto Saba, fino a Claudio Magris. E dove l’autore ribadisce il proprio talento narrativo, combinato con il gusto della cronaca nella sua forma più ispirata. Scriviamo queste note, in una domenica pomeriggio come altre, ed osserviamo Mughini impegnato nella sua attività più ricorrente e nota, quella di assegnare dignità all’ennesimo siparietto televisivo cui è ospite. Ritualmente ci chiediamo perché Giampiero si faccia coinvolgere, come abbia voglia di passare da “La coscienza di Zeno” ad un acceso dibattito sulle scelte esistenziali di Fabrizio Corona. Poi ci ripensiamo e finiamo col seguirlo. Perché ogni volta lo facciamo, c’è sempre qualcosa che giustifica ed arricchisce il nostro ascolto. Proprio ogni volta.


A cura di Vittorio Castelnuovo
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