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GENNAIO 2017

 
Gentile redazione, gentile Paolo Naso,

ho ascoltato la puntata di oggi 28 gennaio a proposito del giorno della memoria.
Memoria a mio avviso che va  riaccesa, che va riproposta sempre e ovunque specie nei giorni che corrono. Sono argentina,  la memoria per noi è un esercizio indispensabile per non ripetere, per consacrare quella memoria alle vittime, per svegliare le coscienze delle nuove generazioni.
Proprio per questo vorrei esprimere un mio piccolo disappunto alla trasmissione di oggi. Pur avendola trovata interessantissima, cone al solito, speravo si ricordasse, quanto meno citasse il cosiddetto Olocausto nero, avvenuto in Namibia nel 1905, perpetrato dallo stato tedesco adoperando le stesse o quasi modalità dello stermino avvenuto negli anni '40 del secolo scorso. Partecipi tra altri,  il maestro di Mengele: Eugen Fischer,  il padre di Göring , il famoso gerarca nazi.
Considero doveroso parlare intorno a quell' avvenimento antesignano all'Olocauto nazista,  realizzato da europei contro africani in Africa la cui memoria oggi non  riceve neanche la consolazione di una menzione.
Cordiali saluti
Analía Requejo
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Sono un assiduo ascoltatore della vostra bellissima trasmissione. Essendo appassionato di storia antica e avendo avuto occasione di visitare Palmira tanti anni fa provo l’angoscia della distruzione in atto di questo sito meraviglioso. A suo tempo avevo composto una ‘memoria di viaggio’ che parlava di splendore, lo scorso anno ho dovuto aggiornare e parlare di ‘ corsa al nulla’. ............................ Complimenti a Sabino Chialà che ne ha dato un quadro completo e commovente. 
Piergiorgio  
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I migranti, arrivando in Italia, sperimentano e ci fanno sperimentare la ricchezza e i problemi del pluralismo religioso. Il problema non è tanto che quella italiana è una società secolarizzata, ma che è religiosamente analfabeta. E' quindi difficile che nasca dal basso una domanda di insegnamento laico delle religioni per tutti, come si è auspicato più volte a "Uomini e profeti". Paolo Naso ha verificato recentemente al convegno ecumenico di Trento, "A  500 anni dalla Riforma" , la resistenza della Chiesa cattolica: nessuna risposta ha avuto dai vescovi presenti quando ha definito una "contro-testimonianza" la difesa del privilegio attuale. Anzi, in questi giorni la Cei, per bocca di Nunzio Galantino, ripete soddisfatta che ad avvalersi dell'Irc sono otto studenti su dieci. Però dobbiamo continuare a sperare se Paolo De Benedetti , a un convegno di Biblia del 2003, definiva "immensa e tragica attesa messianica" quella degli "immigrati clandestini che affidano la propria vita a imbarcazioni di fortuna per arrivare in Italia, con l'unica alternativa di affogare."
Silvano _________________________________________________________________________________________________________


Che bella, che ricca la trasmissione su Damasco! Ho avuto la fortuna di frequentare quella città ai tempi in cui lavoravo sugli aerei e ne ero sedotto, era la mia meta preferita. Ho sempre raccontato di una città elegante come lo sono molte di quelle mediorientali, aperta a tutte le fedi, profondamente pacifica, caratterizzata dal rumore di metropoli ma anche dal felice gorgoglio delle fontane e dal rumore dei pezzi da gioco sulle scacchiere nei tanti angoli di silenzio che vi si trovano. E poi giovani colti, mercanti che non facevano i "buttadentro" con i turisti (solo a Damasco di tante capitali arabe!), il museo archeologico, i ristoranti ricavati nei chiostri delle ex scuole coraniche, il più bel bagno pubblico a vapore mai visto... Però lei, dott. Chialà, ha aggiunto tanto, tantissimo.

Ricordo solo un momento di imbarazzo: lo vissi mentre stavo acquistando un hijab per mia figlia, volevo che provasse sul suo volto la sensazione di indossarlo. Cosa avrebbe provato? Umiliazione, senso di protezione, fascino, ...? Una giovane donna, che pure lo indossava, mi interpellò in perfetto inglese: "Cosa crede che sia, un costume di carnevale?". Rimasi senza parole, balbettai qualche spiegazione poco articolata e lei se ne andò indignata. Se non fosse stato per la mia poca prontezza sarebbe stato probabilmente un incontro positivo, invece feci solo una figuraccia.
Non so darmi pace per la guerra che infiamma la Siria e la "mia" Damasco mi manca.
Ludovico Greco
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Su Paolo De Benedetti

DAVAR ACHER, ALTRA INTERPRETAZIONE

Paolo De Benedetti  ha lasciato un buon nome e abbandonato il mondo in pace.

Nelle letture dell’10 kislew, sabato 10 dicembre 2016, si leggeva la parashà in cui Giacobbe esclamava: “in questo luogo, c’è proprio il Signore, e io non lo sapevo (…) indubbiamente è la casa di Dιo, la porta del cielo[1]. Ora ci piace pensare che PDB si trovi lì, oltre quella soglia, a condividere con i padri il sogno, la meravigliata acquisizione di coscienza, la presa di possesso di quella casa di Dιo che è insieme casa dell’uomo a cui tutti aspiriamo, un giorno.

E chissà se sarà andato a sedere, come aveva detto, in un posto vicino a Giacomo “che aveva delle opere un’idea che mi piace di più di quella di Paolo”[2], e se avrà incontrato il grande Gamaliele “che considero in un certo senso mio nonno perché maestro di Paolo e maestro mio[3]. La catena della tradizione per PDB è passata attraverso i grandi, a cui non cessava mai di rivolgersi per mezzo delle Scritture: Paolo, “uno dei grandi geni dell’umanità (…) i cui scritti non sembrano mai vecchi. (…) In ogni epoca lo si sente come proprio contemporaneo. Per questo mi sono permesso di litigare molto con Paolo. Del resto, non si litiga anche con Dιo?”. È così. PDB ci ha mostrato la bellezza del “riv”, del litigio con Dιo. Avvicinando il lettore alle Scritture e, alternativamente, avvicinando le Scritture al lettore ci ha invitato allo studio della Parola “che continua a gridare per essere ascoltata”, convinti che “siamo importanti per Dιo perché egli parla a noi, non perché noi parliamo di lui”.

Ma un buon maestro non dimentica neanche gli ultimi, coloro che non sanno fare domande come il quarto figlio nell’Haggadà di Pesach: è per lui che viene iniziato il racconto. 

Frontaliere tra ebraismo e cristianesimo (come ebbe a definirlo U. Bartoletti[4]), ma anche fariseo cristiano, marrano, ebreo il sabato e cristiano la domenica, marrano in senso ironico o, più realisticamente, come dirà di sé nella prefazione alla Morte di Mosé e altri saggi[5]): “il lettore avrà una certa difficoltà a trovare una definizione confessionale dell’autore, (…) una compresenza di categorie mentali e di fedeltà ebraiche e di alcune convinzioni cristiane, in combinazione instabile, ma irrinunciabile”, concludendo essere “uno status importante per lui solo: ma il lettore ha il diritto di saperlo”. Nella definizione della sua posizione hanno giocato ruoli importanti il nonno ebreo piemontese della tradizione Arpam, la mamma cristiana convinta e il padre laico. Dalla singolare combinazione ne è nato un cercatore infaticabile di Dιo, nella grande, ma anche nella storia quotidiana, legata al fare, al particolare, alle piccole cose.

Bene ha sintetizzato Gabriella Caramore, che ha avuto il merito di diffondere il pensiero di Paolo De Benedetti

attraverso la trasmissione Uomini e Profeti, dicendo di lui “non cerca o nei santuari dell’ortodossia o nei fasti dei saperi dispiegati (…) ma dietro gli angoli della Bibbia e della tradizione ebraica, si allena a riconoscerlo nei dettagli in cui si fa vicino alle creature. (…) pone “interrogativi che inaugurano spazi aperti, si affacciano su vertigini della mente, osano sfiorare i ‘forse’ di o”.[6]

L’insegnamento universitario, l’attività editoriale e di conferenziere, il gruppo Biblia guidato da Agnese Cini, gli incontri Ebraico Cristiani di Camaldoli, le iniziative interconfessionali l’hanno sempre coinvolto, infaticabile costruttore di reciproca conoscenza. A Milano le conferenze “Conoscere Israele” presso le Suore di Sion e lo studio del testo biblico e in lingua originale, la redazione di Sefer e ogni altra occasione volta alla conoscenza e all’approfondimento lo ha sempre visto in prima fila, coinvolto nel “superamento di ogni falsa opposizione che per secoli ha contrapposto Gesù a Mosè, il Vangelo alla Torà, i Cristiani agli Ebrei”, pronto ad abbattere stereotipi e pregiudizi per aprire alla convivenza “non nel segno della mera tolleranza(…) ma della mutua conoscenza, stima e amicizia (…) nel segno di un patrimonio comune e del profondo legame spirituale”[7]

Il suo insegnamento attivo, basato sulla testimonianza, invitava a interrogare personalmente la parola, alla ricerca del settantunesimo senso. Rabbi Aquiva diceva che la Torà possiede settanta sensi (dati dal canone, dalla Scrittura, dalla comunità) più uno, quello di cui “ogni lettore è chiamato a farsi carico, un ulteriore senso, il proprio”, conscio che un’unica interpretazione ha sempre condotto necessariamente al fondamentalismo: “Non dimentichiamo che la Scrittura ha qualcosa da dire a ogni singolo lettore, a quello lì e non a un altro”.[8]

Ricordava inoltre quanto lo studio dovesse prevalere sull’esposizione, dicendo che i libri “se cadono su un piede non devono far male”, in riferimento all’iscrizione dell’antica biblioteca di Alessandria: “Méga biblìon, mega kakòn, grande libro, grande male”, che aveva poi fatto riprodurre e appendere nel suo studio alla Garzanti.

Commenti, libri sono frutto di tradizione e di studio. PDB citava volentieri l’inizio del trattato rabbinico Pirqé Avot (Capitoli dei Padri, I,1): “Mosè ricevette la Torà dal Sinai e la trasmise a Giosuè, Giosuè agli anziani della Grande Assemblea. Essi dicevano tre cose: ‘Siate ponderati nel giudizio, suscitate molti discepoli e fate una siepe (sejag) alla Torà”. Difficili da praticare i primi due insegnamenti, misterioso il terzo, che PDB spiegava così. Fare una siepe “consiste nel circondare il precetto divino di osservanze supplementari per impedirne meglio la violazione. Di qui, l’importanza dello studio: non puramente per sapere, ma per sapere fare (…), sebbene questo fare sia ancora conoscenza di Dιo in quanto Volontà”.[9]

Maestro che ha avuto l’umiltà di non fregiarsi mai di questo titolo. I discepoli (da lui chiamati semplicemente lettori) lo sanno. Piccoli semi gettati nel terreno. E con l’umiltà di imparare a sua volta, rifacendosi anche a catene della ricezione più recenti, come Martin Cunz che gli aveva insegnato quanto Dιo stia nel dettaglio, a sua volta trasmesso da Warburg: “Non è universalizzando i concetti che ci avviciniamo di più a Dιo. Dobbiamo tener presente che Dιo è ‘colui che si nasconde, il nascondente”. Nel tempio non c’erano forse i “risvegliatori”?, coloro che a una certa ora del mattino ripetevano: ‘Dιo, perché dormi?’

Le scritture devono parlare a tutti e a ognuno. Secondo PDB esiste sempre un’altra interpretazione, ‘davar acher’. Ma prima di aggiungere quest’altra, bisogna sapere che “io leggo, interpreto, traduco, ma dietro e prima di me c’è una lunga serie di altre interpretazioni da cui posso scostarmi, ma che non devo mai distruggere”.[10]

Condivideva l’auspicio di Rosenzweig sulla traduzione, capace di invocare la venuta del tempo messianico, “quel giorno in cui l’umanità delle lingue” perché riesca a crescere non deve stare “soltanto dentro ogni singola lingua, e non nello spazio vuoto ‘tra’ di esse”[11], pensando che questa osservazione “vale come auspicio messianico solo se –paradossalmente- intendiamo tale mèta unificante come accoglienza nella diversificazione, ossia come disvelamento dei sensi”.

“La Bibbia è piena di antropomorfismi” diceva Rina Geftman, “proiettiamo su Dιo le nostre proprie reazioni. In realtà, Dιo non dimentica mai. Non ha forse detto: ‘anche se una donna si dimenticasse del proprio figlio, Io non ti dimenticherò mai? (Is 49, 15)’ . A questa affermazione fa eco una delle ultime frasi pronunciate da PDB: “Ricordatevi di Dιo perché Dιo si ricorda sempre di voi”. Antropomorfismo anch’esso che conferisce levità al rapporto, impari fin che si vuole, ma sempre corrisposto fra le creature tutte, gli uomini, l’uomo, Dιo perché, come affermava Martin Buber, “esclusività e inclusività incondizionate sono un tutt’uno nella relazione con Dιo”, e “a chi entra nella relazione assoluta non importa più nulla di ciò che è particolare, tutto è compreso” (…) Entrare nella pura relazione non significa distogliere lo sguardo da ogni cosa, ma vederla nel tu, (…) non rinnegare il mondo, ma collocarlo nel suo fondamento, (…) abbracciare nel tu ogni cosa”.[12]

Nella discussione sulle fedi, tra emunà ebraica e pìstis greca, sul ‘credere in’ e ‘affidarsi a’, mentre pazientemente ascoltava l’esposizione stentata delle mie scarse conoscenze, mi diceva quanto Buber gli avesse insegnato e quanto avesse sottolineato i suoi testi, fino da non lasciare alcuno spazio da segnare.

Aveva cominciato a scrivere la Chiamata di Samuele “quando i miei genitori erano ‘la lampada che arde e illumina’ (Gv 5, 35) nella casa” e finito dopo la loro scomparsa. Egli lo ha dedicato alla loro memoria di risorti: “mashkèni acharècha, naruza”, versetto tratto dal Cantico dei Cantici  (Ct 1, 4), “che tradotto letteralmente significa: ‘attirami dietro a te, noi correremo’”[13].

I silenzi di Dιo non saranno più tali per PDB, che pur all’interno di questi silenzi che assordano ci ha fatto osservare comeDιo fa due cose che un Dιo metafisico non farebbe. Essere aiutato e essere consolato (…) bisogno che ha Dιo che sta nei cieli e che ha avuto in sommo grado Gesù nella sua passione e morte”.[14]

Silenzi rimasti a noi, qui, aggrappati ai ‘se’ e ai ‘tequ’ (forse), ma che riascoltando attentamente le parole di PDB, potremmo in qualche modo tentare di dipanare. 



[1] Gen 28, 10

[2] PDB, Quale Gesù? Una prospettiva marrana, Morcelliana, Brescia, 2014, p.13

[3] PDB, Quale Gesù? Una prospettiva marrana, Morcelliana, Brescia, 2014, p.13

[4] U. Bartoletti, Teologia del debito di Dιo, p.7

[5] PDB La morte di Mosé e altri esempi, p.5

[6] PDB, A sua immagine. Una lettura della Genesi, a cura di G. Caramore, Morcelliana, p.9

 

[7] PDB, Quale Gesù?, introd Massimo Giuliani, p. 9

[8] U. Bertoletti, p.85

[9] U. Bertoletti, p.

[10] PDB, Introduzione al Giudaismo, Manuali Morcelliana, Brescia, 1999, p.60 

 

[11] (F. Rosenzweig, La scrittura, p. 50

[12] M. Buber, Il Principio Dialogico e altri saggi, San Paolo, Milano, 1993, p. 115 

 

[13] PDB, La chiamata di Samuele e altre letture bibliche, Morcelliana, Brescia, 2006, p.9

[14] U. Bertoletti, p.9



LA QUADRATURA DEL CERCHIO

 

È possibile pregare sia con la liturgia delle ore che con il libro di preghiere ebraico? “Io lo faccio”. Essenza dello studio e studio stesso. Studio e preghiera. Ore e ore dedicate alla Bibbia per attuarla, interrogarla, sapere “che cosa Dιo vuole da noi”.

Nel chiostro del seminario vescovile di Savona, per la prima volta avevo parlato direttamente con PDB, ascoltato in conferenza già alcune volte e a Radio 3 nella trasmissione Uomini e Profeti di Gabriella Caramore.

Nel lontano 2004 ero arrivata a una conferenza presso le Suore di Sion a Milano con un ritardo di circa tre ore, giusto in tempo per sentire solo le ultime due frasi. Ma, nel diguido, ebbi la fortuna di cenare con lui e condividere quella liturgia che il mondo ebraico osservante vive in famiglia: la benedizione sul pane salato e sul vino, le berachot che hanno tramandato l’osservanza di generazione in generazione. Un altro anno, nel sesto o settimo giorno di Pesach ci ha fatto condividere il senso dell’attesa, l’uscio aperto, il posto apparecchiato per accogliere il profeta Elia, che un giorno verrà e risolverà ogni dubbio, il lume acceso e i salmi alleluiatici, seguiti appena con l’aiuto del testo della Haggadà e di una gentile coppia, mia vicina a tavola, a farmi notare l’ordine dei simboli, la bontà del charoset, il ciclo vitale chiuso nella superficie arrotondata dell’uovo sodo.

Le domande dei quattro bambini, come solo loro sanno intonare, e la narrazione seguita alla non domanda del figlio sprovveduto, con tutto il racconto, a partire dalle piaghe d’Egitto, i frangenti del Mar Rosso e il canto di Mosé intonato da Miriam, il senso di liberazione come se, proprio quella notte diversa, fossi io stessa stata risparmiata dall’angelo, avessi seguito la colonna di fumo, raccolto e mangiato la manna. Rimane il fatto che per molti resta sempre più difficile far uscire l’Egitto dalla mente, piuttosto che al popolo d’Israele uscire realmente dall’Egitto.

“Niente mela, grazie. Se fossi stato al posto di Adamo, forse non sarei caduto nel tranello del serpente; ma forse sì, perché Dιo avrebbe escogitato un albero … dei cioccolatini!”. L’ironia sottile e il discorso lieve per dire cose importanti avrebbe coinvolto anche me, ingenua provinciale perché PDB poteva anche essersi messo in mente di insegnare … al gatto del rabbino, e io, come lui, l’avrei seguito attenta e partecipe. Come funambolo, riusciva a trovare il perfetto equilibrio pur sulla lama di un crinale impervio, da cui sempre riusciva a cogliere almeno i due versanti opposti, meglio se plurimi; e da ognuno trarre un insegnamento, meditarlo, ruminarlo per interrogare ancora la parola, fino a farla ‘quasi’ collimare con l’oggi, e sempre aggiungendovi quel settantunesimo senso non ancora scritto, il suo, per incidere la realtà in cui viveva con una risposta concreta, capace di non distruggere tutta la serie di risposte che l’avevano preceduto.

La stella tracciata da Rosenzweig ruotava attorno a tre momenti essenziali: creazione, rivelazione e redenzione. E anche PDB in qualche modo si rifaceva ad essa, ma mai ripercorrendola meccanicamente: sempre un resto sparigliava la simmetria della ricerca, imprimeva movimento per ulteriori domande, nuovi approfondimenti. Bastava l’osservazione attenta di un dettaglio, in apparenza semplice e scontato per riuscirci.

Una bella mattina soleggiata, era il 18 marzo 2008, mi reacai ad Alzaia Naviglio per discutere di emunà ebraica, pìstis greca, ‘credere in’ e ‘affidarsi a’ ed ebbi la fortuna di ascoltarolo parlare pianamente di fede, con le parole semplici che solo i grandi sanno trovare. Le sue erano convinzioni pacate, mai rigide e inamovibili, un luogo intermedio, il giusto punto di equilibrio tra azione e ascolto, due momenti reali non necessariamente giustapposti, anzi situati in un’area –se posso esprimermi in termini geometrici- in cui si raggiungevano di volta in volta punti di equilibrio vicini, ma differenti nei giorni e nei momenti, prossimi, mutabili, continuamente riconquistati a partire da azioni e pensieri diversi. Una fede unificata dal tu.

Il mio desiderio di approfondire la conoscenza dell’ebraismo non era però sostenuta da studio sistematico, né dalla conoscenza (se non elementare) dell’ebraico biblico, ma solo da una disordinata, erratica ricerca di senso. Fu in quell’occasione che parlammo anche di animali, del loro modo (o del nostro?) inadeguato di comunicare, quasi come l’uomo con Dιo, dei loro insegnamenti sommessi, ma inequivocabili. “Ho imparato tanto osservandoli”. Anch’io avrei dovuto imparare la pazienza e la gratuità dell’incontro, ma riconosco di essere stata una pessima allieva.

Fu allora che mi mostrò il ritratto di Pucchia di Stefano Levi della Torre, che non era proprio Pucchia, ma non poteva assomigliarle più di così, e il golem sardo che stava aggrovigliato nei suoi fili sopra l’armadio, ma che, una volta sollevato, si rizzava dritto mostrando simpaticamente tratti somatici debenedettiani inequivocabili, e la pecora grigia (regalo della sorella Maria) gemella della mia pecora nera che aveva in un certo senso offeso i miei famigliari riuniti a tavola, sottolineando le mie continue contestazioni a convezioni ingombranti.

Quello stesso giorno, e anche in qualche incontro successivo a Milano e a Camaldoli, avevo scoperto di essere arrivata troppo tardi per seguire regolarmente le indicazioni del maestro. Avrei dovuto adeguarmi alla realtà, come mi aveva suggerito Rina Geftman quando nel 2003 mi aveva indicato la rivista Sefer, diretta da PDB e condotta da un piccolo gruppo guidato da Marisa Chiocchetti e Elsa Saibene. E la rassegnazione, sentimento che mi capta nelle ore di sconforto, quando l’unico desiderio è quello di tirare i remi in barca, e lasciarsi trasportare dalla corrente, a tratti cedeva a una vaga speranza che PDB ha sempre tenuto acceso, perfino nel 2014-15 quando seguì una stravagante tesina sull’antipatia nella Bibbia, che mi ero autoassegnata per reagire all’accidia. “A Dιo gli uomini sono simpatici, ogni uomo”. Proprio come nel midrash del talled, che Dιo ripiega ogni mattina, dopo essersene ammantato ogni notte per pregare: “Ringrazio te, uomo, per le sofferenze che di continuo sopporti, e per l’opera che quotidianamente compi”. Aggiungendo: “Aiutami, o uomo, a scendere presto sulla terra”. Questo talled è formato da tutti i talled del mondo riuniti.

Perché il Dιo che PDB ci ha mostrato non è un Dιo metafisico, ma il Dιo “che deve essere aiutato e deve essere consolato. (…) Questo bisogno ce l’ha Dιo che sta nei cieli, e lo ha avuto in sommo grado Gesù nella sua passione e morte”.

La traduzione del passo di Isaia “consolate, consolate il mio popolo” potrebbe anche essere letta, suggeriva PDB, “consolatemi, consolatemi, mio popolo!”

Ci piace pensare che queste sue parole, sorrette dall’azione e dallo studio, dall’infaticabile domanda, rimangano nel mondo per invitarci sempre a ricordare Chi non si dimentica mai di noi.

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Gentile redazione,
oggi siamo a parlare di Siria, dei suoi saggi, delle sue perle malate.

Certo usare un passato alto per dare speranza per il futuro è sacrosanto.
Richiamare i profeti dalla cima delle loro colonne per dare scandalo, può servire.Ma di una cosa bisogna essere molto accorti: gli esperti la chiamano "Democrazia illiberale", io preferisco chiamarla col suo vecchio nome: Tirannia.
Sarò più chiaro: Putin, Erdogan, e tanti altri governatori assumono oggi questa veste, con tutto quello che ne consegue.
La Siria di prima del 2013, era già da tanto una una tirannia, un regime di polizia ;lo era e lo è Bashar al-Assad; altrimenti si rischia di non vedere i fenomeni quando si nascondono; come se si dicesse che il fascismo sia stato una tirannia dopo le leggi razziali; già  prima succedevano cose che mi ricordano molto,molto, quello che sta succedendo ora in Europa, negli Stati Uniti, ed anche qui da noi.
I tiranni, i loro regimi polizieschi, sono "l'antiperla" che la storia ci chiede di mettere sotto la nostra nonviolenta lente di ingrandimento.
Le folle cieche si illuminano con l'aiuto di molta lucidità, di molta fantasia e di un ascolto di Dio, che è nuovo nei nostri mondi moderni.
Buon anno
Claudio Fantozzi da Pisa

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Gentilissimi,
il programma di stamattina 1 gennaio è stata strepitoso, bellissimo, illuminante. (come sempre, del resto)
Grazie grazie grazie
Buon Anno a Radio 3
(Se non ci foste voi!)
Cinzia
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Grazie.Iniziare l'anno ascoltando il vostro "Uomini e Profeti" oggi è stato davvero bellissimo. ................................................................
Con stima, Alessandro Voltolina 

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