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Un quarto d’ora di celebrità

Recensione - Le novità editoriali

Pare che l’ultima trovata sia un videogioco, lo racconta Michele Smargiassi su Repubblica del 29 ottobre, che spiega Kant attraverso Clint Eastwood (!); mostra come le materie umanistiche rinascano in veste multimediale; soprattutto conferma come il recinto inviolato di storia e letteratura - con il tradizionale insegnamento lineare, testuale e narrativo - ormai sia solo un ricordo. Dunque viene ribadito il principio di lasciarci andare alle offerte, e già che ci siamo alle tentazioni, della Rete: biglietti earei, elettrodomestici, agriturismo, filmetti normali, filmetti spinti, partite di pallone, offerte varie, informazioni in tempo reale, immagini dal mondo, qualche signorina compiacente, sconti su ogni cosa, l’amore dietro l’angolo (quello sempre). Rincara la dose, su L’Unità del 26 ottobre, Jeremy Rifkin con “La terza rivoluzione industriale”, per Mondadori, dove scrive l’economia del petrolio è al tramonto e al suo posto si delinea una società basata sul matrimonio tra Internet e le fonti rinnovabili, pure cambiando i nostri comportamenti sociali. Intanto Riccardo Luna, su Repubblica del 30 ottobre, afferma è scoppiata la pace tra la Rete e le redazioni. Scrive infatti che dopo l’era (ere che con gli standard attuali durano dieci minuti!) dei blog e del citizen journalism, ora siamo approdati al pro-am; dove professonisti e amatori lavorano insieme su fatti, notizie ed inchieste. Suona bene. Più interessanti ancora suonano i pezzi di Luca Mastrantonio, sul Corriere del 28 ottobre, in cui si analizza “Rapporto di polizia” (Guanda), un saggio di Marie Darrieussecq dove vengono difesi gli autori dei plagi ed i loro diritti a riscrivere; quello di Marco d’Eramo, sul Manifesto del 26 ottobre, dove si segnala il “Dizionario tecnico-ecologico delle merci” (Jaca Book) nel quale Giorgio Nebbia mette insieme la storia del presente attraverso i materiali che l’hanno contrassegnata; quello infine di Giuseppe Montesano, sul Messaggero di pochi giorni fa, dove si racconta della recente tendenza di concepire i libri d’arte come gallerie, sviluppando un viaggio  sentimentale. 

Poi però su Repubblica del 30 Ottobre leggiamo è tornata di moda la radio. Per diverse ragioni: perché, viene spiegato nel fondo ancora a firma di un attivissimo Michele Smargiassi, grazie alle nuove tecnologie essa ha ritrovato ascoltatori e moltiplicato il gradimento; perché le trasmissioni online vanno per la maggiore; e perché il podcast ha aperto infinite possibilità e ciascuno può crearsi il programma che desidera (ci risiamo!) quando vuole e come vuole: volendo pure sui telefonini. Sull’argomento prova a mettere ordine Mario Perniola, che di spalla al pezzo di Smargiassi firma una breve analisi; dove individua nel suggestivo concetto di transito il punto di forza di un mezzo che è riuscito a resistere al tempo, accompagnandoci ovunque. Così in poche righe ecco due forme di comunicazione. La comunicazione vecchia: nel mondo dei media non si butta via niente (non si sa mai!) perché ogni tanto – vedi la tendenza cult della settimana: tutti a sentire la radio!! – si può recuperare qualcosa e riempire uno spazio (come per i vinili, lo ha detto anche il Tg1 pochi giorni fa, mai tanto trendy come nell’epoca dell’i-Pad!) E la comunicazione nuova che sostanzialmente ti prende per le natiche: Lo puoi fare anche tu / Come vuoi tu / Quando vuoi tu / Con chi vuoi tu / Ma lascia stare la Tv / Niente niente: vuoi entrare in Tv? / Ma non c’è più posto in Tv / Hai la Rete, e che vuoi di più? / L’avanguardia è laggiù / Sì, va bene, il denaro è quaggiù! / Eh su, ti ci metti anche tu!

Il quarto d’ora di celebrità, teorizzato a suo tempo da Andy Warhol, è ora amplificato e mortificato dal palcoscenico virtuale della Rete; dove tutti danno i numeri (da Amazon 5000 ebook in prestito, a pagamento, per il lancio del nuovo Kindle, come riferito dal Corriere del 4 novembre) e le luci non si spengono mai. Non c’è mistero. Giacché molto è partito da lì – vedi Sergio Marchionne (Repubblica 26 ottobre) che in un recente incontro con l’Anfia, un’associazione di categoria di Confindustria, a proposito del futuro dell’auto si mette a citare Bruce Springsteen: a metà strada verso il paradiso e solo a un miglio dall’inferno – persiste al centro delle nostre parole l’America. Per esempio attraverso i suoi vecchi protagonisti; mentre ne viene a mancare uno, lo psicanalista James Hillman, rimasto fedele a se stesso fino alla fine, secondo le parole della moglie Margot McLean. Leggiamo su La Stampa del 28 ottobre un ricordo di Silvia Ronchey, dove apprendiamo Hillman aveva rinunciato alla morfina per ragionare fino all’ultimo, da filosofo antico e con i propri discepoli, sul senso della sua esperienza estrema segnata dalla lotta con il cancro. E torniamo indietro con i ricordi, quando lo intervistammo a Roma in un albergo del centro per poi non trovare un giornale disposto a pubblicare il pezzo: dissero ci sarebbero rimasti male i redattori, se uno veniva da fuori e portava un articolo come se nulla fosse. Hillman a Roma? D’accordo ma la suscettibilità dei colleghi, ci spiegarono, dove l’avremmo messa? Cose che capitano. 

Ritroviamo l’America nell’anticipazione sul Corriere del 25 ottobre dell’autobiografia “Anatomia dell’influenza” (Rizzoli) dove l’autorevole critico Harold Bloom confronta a suo dire i deboli autori contemporanei come Salinger e Franzen con gli insuperabili maestri del passato, su tutti Shakespeare e Withman. Ancora America con Maurizio Molinari, inviato de La Stampa da New York, che il 29 ottobre firma l’anteprima del nuovo romanzo di Stephen King (“11/22/63”, per Sperling e Kupfer). L’autore di “Shining” e de “Il miglio verde” viaggia nel tempo e si misura con l’assassinio del presidente Kennedy. «Non è un horror, chissà se al mio pubblico piacerà», confessa lo scrittore. Ed è in America che esce a giorni l’attesissimo “1Q84” di Haruki Murakami, al punto che Gloria Satta sul Messaggero del 25 ottobre si chiede se lo scrittore sia un maestro della letteratura oppure un genio del marketing. Insomma, un dritto. Poi c’è l’America innocente del juke-box dei Beach Boys che, ricorda il Corriere del 31 ottobre, tornano virtualmente in pista con la riedizione di “Smile”; il disco le cui tracce furono cancellate dal leader Brian Wilson, nel pieno di una crisi di nervi subito dopo aver ascoltato “Sgt. Pepper” dei Beatles nel lontano 1967, e che ora invece sono a disposizione degli appassionati. Il sogno del disco perfetto, così le leggende parlavano di quella raccolta fantasma, ora è reale nell’ennesima esaltazione del passato; mentre già si parla di un altro disco segreto, quello di Amy Winehouse, che in fretta e furia sarà pubblicato il 5 dicembre: meglio battere il ferro finché è caldo. 

L’America è nel pezzo di Valentina Della Seta, che sul Messaggero del 29 ottobre annuncia l’uscita imminente per Isbn di “Baci da 100 Dollari”; raccolta dei primi racconti di Kurt Vonnegut, l’autore del celebre “Mattatoio n.5” scomparso nel 2007 e ricordato dal più giovane collega Dave Eggers come una voce morale. Bella l’intervista rilasciata da Tom Wolfe ad Antonio Monda, su Repubblica del 30 ottobre, in occasione della pubblicazione per Castelvecchi di una sua vecchia raccolta di saggi, “La baby aerodinamica al kolor karamella” (!). Wolfe afferma “abbiamo perso il realismo, e troppi intellettuali sono ipocriti e opportunisti”. Qualcosa di simile, tornando in Italia, lo ritroviamo nel pezzo che Nicoletta Tiliacos pubblica su Il Foglio del 29 ottobre, e dove dichiara come contro l’incanagliamento del paese si debbano opporre antidoti letterari: nell’ordine Gadda, Parise, Montale e Arbasino. Quanta rabbia, comunque buona l’idea: già espressa, e già segnalata qui, da Raffaele La Capria sul Corriere del 25 ottobre, dove la memoria creativa è invocata contro i politicanti. Più sereno e scientifico Nicola Gardini, del resto professore ad Oxford, che scrive una guida dei capolavori italiani di tutti i tempi da Boccaccio a Gadda (“Per un biblioteca indispensabile”, Einaudi); rilascia un’intervista a L’Unità del 26 ottobre; e suggerisce ai lettori di non soffermarsi troppo sugli autori, rileggendo piuttosto le loro opere. Intanto si rifanno sotto quelli di Generazione TQ – era ora! – e sul Manifesto del 30 ottobre firmano in quattro (Andrea Carbone, Alessandro Raveggi, Vanni Santoni e Giorgio Vasta) un intervento sulla sempre più diffusa autoproduzione di libri, notando si tratta di pratiche editoriali solo all’apparenza democratiche. Non è spunto molto originale, ma almeno hanno messo la testa fuori! 

La notizia più brutta è senza dubbio quella proveniente dalla Cina, dove 40 milioni di persone seguono in tv un reality-choc sull’ultimo giorno dei condannati a morte; così come raccontato da Valerio Cappelli e da Michela Tamburrino sul Corriere del 29 ottobre (servizio poi ripubblicato su Il Foglio due giorni dopo). Sulla stessa pagina riportata anche la notizia più bella: quella del restauro (operato dalla Tod’s) di “Sciuscià”, capolavoro neorealista di Vittorio De Sica. La motivazione dell’azienda: affinché tutti i giovani appassionati possano usufruirne. Bravi. Come bravi sono stati Paolo Petrucci e Angelo Barbagallo, che hanno realizzato “La passione di Laura”, documentario su Laura Betti e sul suo rapporto con Pier Paolo Pasolini; la più bella e impossibile storia d’amore di tutto il cinema italiano, era stata definita. E bravo infine è Claudio Magris; che su La Stampa del 26 ottobre, sollecitato da Giacomo Giossi in margine al suo ultimo libro, "Livelli di guardia" rivela: “la vecchiaia è diventata il territorio in cui si giocano le grandi domande di oggi. Anche in letteratura”. La vecchiaia al tempo di Internet: e chi se l’aspettava?


A cura di Vittorio Castelnuovo
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