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"Mamma Erasmus", che aprì il mondo ai nostri studenti

“Mamma Erasmus? E’ un soprannome, coniato anni fa da studenti e colleghi, diventato un affettuoso attestato di stima, di cui vado fiera”. Nel cortile della parrocchia romana di Santa Marcella, la professoressa Sofia Corradi ripercorre con memoria di ferro e tono allegro la storia di una vita, la sua, dedicata al raggiungimento di un sogno divenuto realtà per milioni di persone. Nel corso degli anni, dopo che il programma Erasmus era diventato un successo confermato dalle statistiche (e mitizzato da film come “L’appartamento spagnolo”, di Cédric Klapisch), molti in Europa si sono vantati di esserne stati padri. Ma per la sua laboriosa genesi, vale il vecchio brocardo latino “mater sempre certa”. Già, perché a innescare la scintilla iniziale e ad alimentarla negli anni con tenacia, è stata la signora Sofia, capace di escogitare, sul finire degli anni ’60, il progetto di scambi di studio da cui ha preso vita l’odierno programma europeo. Anche adesso che ha 82 anni ed è una docente universitaria in pensione (ha insegnato fino al 2004 Educazione degli adulti all’Università Roma Tre e continua a pubblicare articoli e saggi), diverse generazioni di ex studenti, oggi uomini politici, professionisti e manager in tutto il mondo, la ricordano come “Mamma Erasmus”. Lunedì sarà in Spagna, accompagnata dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, per ricevere dalle mani di re Filippo VI e del presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, il prestigioso premio internazionale assegnato in passato a personalità come Jaques Delors e Mikhail Gorbaciov, Helmutt Khol e Simone Weil. E’ intitolato a Carlo V, il sovrano spagnolo sul cui impero “non tramontava mai il sole”, un po’ come accade oggi per l’Erasmus, che ha valicato pure i confini europei attivando scambi di studio e lavoro in decine di Paesi nel mondo: “l’Erasmus plus è un’iniziativa fantastica. E io sogno altre iniziative che riguardrino ad esempio lo scambio di esperienze fra lavoratori di Paesi agli antipodi come Italia e Argentina o Irlanda e Filippine”.

“Sessant’anni fa non era così. La burocrazia era un muro insuperabile. “Me ne accorsi nel 1958 con una solenne arrabbiatura. Stavo terminando il corso di laurea in Giurisprudenza a Roma. Con una borsa di studio full-brigth. Avevo frequentato per un anno la Columbia University di New York conseguendo un master in Diritto comparato. Munita di certificati, al mio ritorno pensai di chiedere aall’Università La Sapienza il riconoscimento degli studi come equivalenti dei tre esami che ancora mi mancavano, in modo da poter affrontare la tesi. Andai in buona fede e speranzosa, ma il capo della segretaria della Sapienza mi trattò malissimo: “Signorina, lei pensa di andare a spasso per il mondo e poi venire qui a chiedere la laurea? Vada a casa piuttosto, a studiare. E, solo se supererà gli esami mancanti, torni qui per la tesi”; strillò. Ero mortificata […]

La svolta arriva mentre gli universitari europei contestano sulle barricate nel ’68. La nascente autonomia degli atenei offre un trampolino al progetto, sostituendo il concetto di “equivalenza” degli esami sostenuti all’estero, stabilita da accorti fra Stati, con quello di “riconoscimento”, per il quale bastano gli accordi fra atenei. D’aiuto è anche la maggior libertà concessa agli universitari nel comporre il piano di studio.  La professoressa elabora un appunto e, insieme al rettore dell’Università di Pisa, Alessandro Faedo, matematico geniale, amico di Enrico Fermi, lo consegna al ministro della pubblica Istruzione dell’Epoca, Mario Ferrari Aggradi: “andammo nel suo studio, al ministero, alle 7,30 del mattino, e lo convincemmo ad ascoltarci. In seguito lo facemmo anche con il ministro Riccardo Misasi”. Ferrari Aggradi tramuta quell’appunto in uno schema di articolo da inserire nella riforma, che sarà approvata in seguito, in cui si stabilisce che ogni studente, se pur non appartenente a famiglia residente all’estero, può chiedere di svolgere parte del suo piano di studio presso Università straniere”; prensentandolo preventivamente  all’approvazione del Consiglio di Facoltà”, che potrà dichiarare l’equivalenza effettiva solo “dopo che lo studente avrò prodotto la documentazione degli studi compiuti all’estero”. […]

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