La lingua italiana
non è messa in pericolo dai
neologismi inventati dal lunguaggio pubblicitario. E' questa l'opinione di
Valeria Della Valle, docente di
linguistica italiana all'Università La
Sapienza di Roma, la quale spiega che nei termini ideati dai pubblicitari si assiste ad una vera e propria
creazione di forme verbali che hanno uno scopo preciso: sovente si tratta di un gioco con parole e verbi che trasgredisce alle "regole dell'italiano per creare un effetto sorpresa e catturare l'attenzione del consumatore". Un'attività mossa da
consapevolezza ed attuata da persone che spesso hanno una
solida cultura di base.
Al
contrario i
danni alla lingua italiana vengono perpetrati soprattutto - ammonisce Della Valle - dalla
trascuratezza generale e l
'uso sciatto che se ne fa, senza le attenzioni che le sono dovute. E ciò è tanto più grave quando a
trascurare le regole sono persone non prive di
istruzione, e lo fanno in
discorsi pubblici, dichiarazioni politiche, a scuola o in televisione. In questi casi, sì, che chi parla diventa 'cattivo maestro' nei riguardi di una
popolazione come la nostra che recenti statistiche collocano in
fondo alle classifiche europee per la capacità di lettura di un testo". Un triste primato di cui "sicuramente non è la pubblicità ad essere responsabile", conclude.
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