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Progetto Wagner: Parsifal

in onda venerdì 29 novembre alle ore 19,30

Progetto Wagner: Parsifal

La prima idea di dar voce a Parsifal era nata nella mente di Richard Wagner già intorno alla metà degli anni ’40; il testo in prosa fu elaborato negli anni ’60, e pare che nel leggerlo il re Ludwig avesse esclamato significativamente: “Questa arte è sacra, è pura, sublime religione".

E di profonda religiosità è intrisa la figura del prode cavaliere, protettore del Santo Graal, che Wagner creò ispirandosi agli antichi testi di Chretien de Troyes e Wolfram von Eschenbach; ma il Parsifal wagneriano è personaggio del tutto nuovo perché incarna valori multiformi, quasi un condensato di tutte le tematiche che nel corso degli anni avevano ispirato il grande musicista.

Wagner fa di Parsifal il “puro folle” che realizza quella sintesi tra umano e divino, tra purezza e saggezza, spirito e natura che era stata per tutta la vita  il suo ideale; una sintesi da lui anelata e perseguita rincorrendo e ritrovando tutti i simboli significati nei suoi temi musicali, presenti in quest’opera quasi a costruire o ri-costruire un sé, una sorta di identità universale, assoluta ed eterna.

E in questi valori, ci pare evidente, non ha alcun luogo la spiritualità di un verace cristianesimo: la sostanza del messaggio evangelico non tocca l’animo di Wagner, il cui misticismo si esprime piuttosto in una disinvolta congerie di immagini figure ed allegorie tratte da questa ed altre religioni (come il buddhismo, introdotto in Europa da Schopenhauer, a cui il musicista avrebbe dedicato un’opera mai compiuta) o ancora in un variegato esoterismo.

Wagner si appropria di linguaggi e simboli e li fa propri piegandoli alla sua prospettiva diremmo quasi cosmicamente individualistica; così coppa e lancia da oggetti sacri si fanno emblemi magici di un culto pagano, la lavanda dei piedi e lo stesso Venerdì Santo – per i credenti momento culminante della fede – si trasfigurano con valore simbolicamente iniziatico; anzi il ricordo della morte di Gesù viene da Wagner dipinto in quella scena, musicalmente memorabile, che egli definisce addirittura “incantesimo”, con un termine tra i più lontani dal sentire cristiano.

Parsifal (e diremmo Wagner in lui) è nel contempo salvatore e peccatore, sacerdote e divinità, redento e redentore, e giustamente molte ed illustri furono le analisi di cui l’opera è stata fatta oggetto, da Nietsche ad Adorno; nonostante i riferimenti al mito alla storia alla religione all’immaginario, Wagner sembra fare perennemente riferimento a se stesso in quella che saremmo tentati di definire la prospettiva di un fortissimo ego: nei messaggi cristiani non c’è salvezza senza uscire da sé e la vera agape si realizza nella condivisione e nell’umiltà, mentre di questo in Parsifal non c’è traccia, la redenzione si realizza grazie ad un processo epico di cui vero protagonista una sorta di Sé superiore.

Eppure la musica del Parsifal incarna qualcosa di veramente alto e universale; la definizione wagneriana “dramma sacro” ben collega l’opera - più che ad un tradizionale senso religioso - alla concezione di quella sacralità dell’arte di cui Wagner fu innegabilmente tra i più alti vati.

In Parsifal (e in Wagner tout-cour) è la musica che parla, molto più ancora che le parole; una musica imponente e totalizzante che sa asciugarsi in modo estenuante ed arrivare alla massima leggerezza, coprendo altrove quasi la voce stessa dei protagonisti e divenendo essa sola voce di un qualcosa di inesprimibile, simbolico ed assoluto.

Non può non farci piacere che l’ultimo grande canto del grande musicista sia intimamente legato al nostro Paese; a Palermo nel 1882 il compositore completò la sua composizione – e un anno dopo a Venezia morirà; proprio in Italia Wagner trovò luoghi che, già chiarissimi nella sua mente di geniale regista e scenografo, attendevano un modello reale: ecco allora in Parsifal il Duomo di Siena e la meravigliosa Villa Rufolo di Ravello, che ancora oggi dedica a Wagner l’apertura dei concerti sulla suggestiva terrazza del suo Belvedere.

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