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Progetto Verdi: Les Vêpres Siciliennes

in onda martedì 24 settembre alle ore 20,35

Progetto Verdi: Les Vêpres Siciliennes

Nel 1852, durante uno dei suoi soggiorni parigini, Giuseppe Verdi aveva firmato con l’Académie Impériale de Musique il contratto per un lavoro originale - in francese naturalmente – che rispondesse alle particolari esigenze delle consuetudini d’oltralpe: anche se la magniloquenza propria del Grand-Opéra si era molto stemperata rispetto alle istanze della prima metà del secolo, erano comunque d’obbligo ampie proporzioni ed abbondanza di cori e balletti.

In Francia Eugène Scribe era uno dei più prolifici autori di testi teatrali, prodotti in una sorta di catena di montaggio con una vera e propria schiera di collaboratori: circa cinquecento le sue opere, molte delle quali messe in musica da autori di successo quali Auber, Meyerbeer, Halévy e il nostro Rossini (“Le Comte Ory”); il libretto di Scribe “Le Duc d’Aube” era stato affidato dall’Opéra a Donizetti nel 1839, ma dopo averne musicato una parte il compositore aveva abbandonato il lavoro, che fu concluso e rappresentato postumo nell’82.

Nel suo contratto con l’Opéra Verdi aveva esplicitamente richiesto che il libretto fosse di Scribe, il quale gli offrì proprio quel soggetto - specificando che il musicista avrebbe potuto apportarvi modifiche a suo piacimento; abbiamo dalle fonti la certezza che a Verdi fossero noti i precedenti, ma di certo il musicista non prese bene la questione, e fu sul punto di annullare più di una volta l’impegno preso, anche a causa della minacciata defezione di Sophie Cruvelli, celeberrima stella del belcanto.

Il lavoro comunque andò avanti e con sostanziali modifiche (l'occupazione spagnola delle Fiandre a metà del 1500 era divenuta l'occupazione francese della Sicilia del 1282) l’opera vide la luce con il titolo di Les Vêpres Siciliennes e venne rappresentata per la prima volta durante l’Esposizione Universale di Parigi del 1855.

I “Vêpres” incontrarono il favore di pubblico e stampa, e pure ad Hector Berlioz l’opera piacque assai; il musicista e critico ne apprezza ”la sontuosa varietà, la sobrietà sapiente della strumentazione, l’ampiezza … una dimensione di nobile grandezza, come una regale maestosità”.

Forse per noi italiani proprio in queste caratteristiche stanno le debolezze dell’opera, che mai arrise alla celebrità dei contemporanei capolavori verdiani e che allora apparve soprattutto come un segno della volontà di Verdi di conquistarsi la piazza parigina (e in proposito Francesco Maria Piave aveva lamentato: ”Verdi rinuncia al trono offertogli dall’Italia, per sedersi sopra una panca di Francia!”).

L’Ouverture dell’opera ha avuto però un diverso destino; inserita ancor oggi frequentemente nei programmi da concerto, essa si presenta come un prezioso momento musicale di singolare intensità espressiva.

Anche i balletti, nella cui composizione Verdi si piega alla tradizione francese, appaiono ben inseriti nell’impianto dell’opera, con la loro esplicita intensità drammatica e la sapienza orchestrale di un compositore ormai sicuro del suo linguaggio; particolare fortuna hanno avuto i quattro movimenti di danza intitolati “Le Stagioni”, dalla scena della festa nel terzo atto, generalmente inclusi anche negli allestimenti non integrali di questa impegnativa opera.

Per mille motivi - dalla scelta dei soggetti all’angolazione tutta particolare della trattazione dei personaggi, tanto sottile intima e complessa - nel teatro in musica la cosiddetta “Trilogia popolare” era apparsa come una sorta di geniale rivoluzione; il ritorno di Verdi a tematiche di ispirazione storica dei “Vêpres” potrebbe far pensare una sua involuzione creativa, ma ad un ascolto attento ritroveremo agevolmente anche in quest’opera tutti gli elementi (musicali forse più che drammatici) del Verdi migliore.

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