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Progetto Wagner: Tristan und Isolde

in onda martedì 22 ottobre alle ore 20,00

Progetto Wagner: Tristan und Isolde

I nomi di Tristano e Isotta - protagonisti dell’opera wagneriana oggi in programma, Tristan und Isolde appunto - sono divenuti, al pari di Romeo e Giulietta, paradigmatici del concetto stesso di amore: un amore che, come nel dramma shakespeariano, ha un tragico destino e come quello trova in pozioni magiche e scambi imprevisti i suoi punti di snodo drammatico.

La poesia anglo-normanna è all’origine di questo dramma amoroso, il cui nucleo, tradotto poi in alto-tedesco, troviamo già alla fine del XII secolo; il racconto venne ulteriormente sviluppato, sempre in versi, nel corso del secolo seguente, ma la sua maggior diffusione si ebbe grazie alla versione in prosa che circolò in tutta l’Europa come “Roman de Tristan”.

Da qui la struggente storia – anche grazie all’elaborazione cinquecentesca di Hans Sachs - passa i secoli e viene accolta, manco a dirlo, dai grandi autori del Romanticismo tedesco che ne assorbono soprattutto l’essenza mitica ed idealizzata; durante il lungo periodo di elaborazione della sua Tetralogia Richard Wagner si lascia conquistare da questo soggetto iniziandone la composizione nel 1957.

Nei fiumi di parole dette (e scritte) sul “Tristano” si incorre inevitabilmente in un binomio collegato alla biografia del musicista, cioè “amore” e “filosofia”, cui corrispondono i nomi di Mathilde Wesendonck e Arthur Schopenhauer; l’incontro passionale con l’una e le corrispondenze ideali con l’altro divengono punti di riferimento ineludibili nel percorso di Wagner, pure così autonomo e personale.

Un sentimento d’amore tanto intenso quanto irraggiungibile nella sua completezza, una passione che è fondamentalmente eco lontana di un tutto e di un altrove che mai può essere intimamente totalmente conquistato, questo è quanto Wagner vive nel suo complesso mondo interiore, aldilà naturalmente di quanto dalle testimonianze biografiche possiamo dedurre sul suo rapporto con la giovane moglie dell’affarista Von Wesendonck.

Dall’altra parte, non solo le polemiche al positivismo del filosofo di Danzica ma le sue radicali teorie su realtà ed apparenza, desiderio e negazione coincidono con l’estetica wagneriana, con l’identificazione pessimistica di un mondo in cui natura e pensiero sono forze ugualmente destinate ad essere in qualche modo smentite e superate, non nelle speranze ultraterrene ma nell’ascesi e soprattutto in una contemplazione mistica che avvolge ogni cosa.

In particolare, il pensiero di Schopenhauer sulla musica trova in Wagner la più fedele corrispondenza: proprio in essa il filosofo identifica il superamento delle individualità e delle dimensioni spazio/tempo-causa/effetto; la musica di Wagner, così svincolata dal contingente, diviene mezzo di ascesi e purificazione in se stessa.

In questo senso il “Tristano” è opera particolarmente significativa: nei lunghi tre atti l’azione vera e propria è quasi nulla, tutto viene ricordato o narrato dai pochi personaggi e massimo rilievo è dato al fluire evanescente di sensazioni e sentimenti che si esprimono nella musica.

Una musica, quella del “Tristano”, certo sinfonica in tutto e per tutto, ma anche intima e visionaria: la possente vocalità richiesta agli interpreti si colora pure di accenti quasi incorporei, con suoni inaspettatamente diafani che si appoggiano ed intrecciano ad un’orchestra eccezionale nella sua sensuale mobilità.

L’opera andò in scena nel 1865, e il terreno emozionale sul quale l’opera è fondata non fu compreso appieno dal pubblico al suo apparire; troppo moderne le corrispondenze sensoriali (“… odo la luce …” dirà Tristano nel III atto) e soprattutto troppo anticonvenzionale il linguaggio di Wagner, che in quest’opera vedeva l’espressione massima della sua appassionata interiorità:
”… poiché nella mia vita non ho mai gustato la vera felicità dell'amore, voglio innalzare a questo che è il più bello di tutti i sogni un monumento nel quale, dal principio alla fine, sfogherò fino a saziarlo appieno questo amore”.

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