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I tanti colpevoli del fallimento dell'istruzione

A costo di annoiare le mie lettrici e i miei lettori torno sul problema dell’istruzione dei nostri ragazzi, perché la questione è troppo importante, non solo per loro, ma soprattutto per il futuro del nostro Paese. Lei distribuisce le colpe del mal andamento della nostra scuole ai ragazzi, ai loro genitori e al ministero dell’Istruzione. I ragazzi li abbiamo messi al mondo noi, e precisamente in un mondo dove quel che conta è il successo, il denaro, l’affermazione di sé anche a scapito degli altri. La scuola e la cultura che trasmette dovrebbero almeno prospettare altri valori che relativizzino i primi, facendone apprezzare altri più significativi e interessanti, capaci di gratificare il concetto che ciascuno di questo ragazzi ha di sé. Se lei mi dice che: “In un istituto professionale l’attività preponderante è quella di ricostruire un contesto ordinato e non rumoroso (silenzioso è pretendere troppo) in cui tentare di avviare l’attività didattica”, mi lasci dire senza alcun esitazione che la colpa è di quegli insegnati che non hanno un’adeguata personalità per stare in una classe o una capacità a conquistarla sul piano emotivo. Di questi insegnanti del tutto inadeguati a riscoprire il loro rorlo, non c’è studente che non abbia fatto esperienza.

Per quanto riguarda i genitori, sono assolutamente convinto che devono essere lasciati fuori dalla scuola, dopo esser stati malauguratamente introdotti negli anni 70 dei Decreti Delegati del ministro Franco Maria Malfatti, e negli anni ’90 ulteriormente legittimati e incoraggiati dal ministro Luigi Berlinguer. La ragione è molto semplice: i genitori non sono interessati tanto alla formazione di loro figli, quanto alla loro promozione. E perciò, dalla scuola primaria all’ultimo anno di scuola superiore fanno i sindacalisti dei figli, contestando le decisioni prima delle maestre e poi dei professori tramite ricorsi al TAR che, per il quieto vivere, finisce per dar ragione ai genitori.  Au sua volt anche la scuola e i commissari degli esami di Stato, sempre per il quieto vivere, finiscono per promuovere tutti, generando il sospetto, assolutamente fondato, della loro inutilità. I soldi che si potrebbero risparmiare con l’abolizione dell’esame di Stato, potrebbero essere impiegati per insegnare l’italiano ai bambini stranieri che si iscrivono alle nostre scuole. E questo prima di inserirli nelle classi come se già conoscessero la nostra lingua, mentre non capiscono quasi niente e di conseguenza di demotivano, quando addirittura non si umiliano.

Se poi consideriamo che il ministro dell’Istruzione, come Lei ricorda  […] , invita i dirigenti scolastici a promuovere più studenti possibili per evitare l’abbandono scolastico, e i presidi a loro volta invitano i professori ad analogo comportamento per dimostrare il “successo formativo” del loro istituto, qui il cerchio si chiude. Ed è un brutto cerchio, perché segna il trionfo dell’ignoranza mascherata da diplomi che, alla prova dei fatti, quando ad esempio si scrive un curriculum mostrano senza inganno la loro falsità. Se a tutto ciò aggiungiamo che i nostri ragazzi avranno come competitori non i primi della loro classe come un tempo, ma i coetanei cinesi e indiani, ci dobbiamo meravigliare se l’Italia e con lei l’Europa, e a guardare bene l’intero Occidente, stanno declinando?

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