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Colosseo, lite sui fondi

Laura Larcan - Il Messaggero

Al mio segnale scatenate l’inferno. Il fiero Massimo Decimo Meridio non l’avrebbe certo immaginato che il suo Colosseo potesse innescare una bizzarra guerra  degli incassi tra un comune che rivendica risorse di monumenti statali e un Ministero dei Beni culturali che gli ricorda che le risorse statali, a norma di legge, devono comunque restare al patrimonio dello Stato. Insomma, un braccio di ferro che ha più il sapore di una bagarre politica che di scrupolo culturale. Tant’è. “Un gesto senza precedenti, stigmatizza il ministro Dario Franceschini, il ricorso al TAR presentato ieri dalla sindaca Virginia Raggi (tramite l’avvocatura capitolina) contro l’istituzione del Parco archeologico del Colosseo perché “lesivo degli interessi di Roma”, si legge nella nota, e contro la nomina del direttore attraverso il bando internazionale. Tutto ruota intorno a quel tesoretto di 44.431.551 milioni di euro che l’Anfiteatro Flavio ha incassato dal pagamento dei biglietti nel 2016 (un meno 2,17% rispetto al 2015 quando ne guadagnava 44.613.000). 

Cosa denuncia la sindaca Raggi?
Che con la nascita del Parco del Colosseo gli incassi d’oro del monumento lascino Roma e non vengano più investititi sulla città. Fermo restando che dal bancomat Colosseo (monumento del MiBACT) non è mai piovuto un centesimo sul patrimonio in consegna al Comune di Roma, all’indomani del cup de theatre del Campidoglio è stato il ministro Frnaceschini a chiarire euro per  euro tutto il caso sollevato dai 5S. “Prima della riforma, l’80% degli incassi del Colosseo restava su Roma per il Colosseo, Foro romano, Palatino e il resto del patrimonio statale di Roma in consegna alla Soprintendenza speciale, mentre il 20% andava al Fondo di solidarietà nazionale come fanno tutti i musei statali italiani a favore dei musei più piccoli”. Dopo la riforma che succede? “L’80% degli incassi del Colosseo resta su Roma per il Colosseo, Foro romano, Palatino e il resto del patrimonio statale di Roma in consegna alla Soprintendenza speciale, mentre il 20% andava al Fondo di solidarietà nazionale come fanno tutti i musei statali italiani a favore dei musei più piccoli”. Notate qualche differenza?”. 

Entriamo ancora di più nel dettaglio del decreto di riforma che tanto impensierisce la sindaca Raggi e il suo assessore alla Cultura, Luca Bergamo. Perché la riforma prevede una ripartizione specifica dei fondi introitati dai biglietti del Colosseo. Dell’80% che resterà a Roma, il 50% andrà nelle casse del parco archeologico del Colosseo (che comprende anche il Foro romano, Palatino e Domus aurea), mentre il 30% volerà alla nuova Soprintendenza Archeologia, belle Arti e Paesaggio di Roma. Eccolo, quel 30% che resta al territorio romano (ricordiamolo, statale) e che fa tuonare la Raggi: “Roma non ha bisogno di zone di serie A e zone di serie B:  tutti i posti devono avere la stessa dignità”. Peccato che la Raggi dimentica che la nuova Soprintendenza non deve più affrontare le spese per l’area archeologica centrale non ha più in consegna l’Appia Antica, le quattro sedi del Museo nazionale Romano, tutto il complesso Ostia antica e Portus, perché sono diventati enti a gestione autonoma.  Come a dire, i costi potrebbero essere diversi rispetto al bilancio degli anni precedenti. Come precisano i tecnici del Collegio Romano, “questa ripartizione dei fondi tra Parco e Soprintendenza di Roma non è stata improvvisata per decreto, ma è stata definita sulla base di uno studio della contabilità storica degli investimenti della Soprintendenza garantendo a quest’ultima una cifra mai inferiore al 30%. Tant’è che la Soprintendenza di Roma, che resta speciale, continua ad essere una delle più ricche d’Italia con un flusso regolare ed enorme di risorse”: Pensare che tutta questa bagarre non è successa a aTorino, con la sindaca grillina Chiara Appendino per i Musei Reali diventati autonomi. E non è successo a Firenze, dove Uffizie Galleria dell’Accademia conquistano quasi 20 mln/€ di introiti dai biglietti. Perché solo a Roma? Perché solo al Colosseo?

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