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Eutanasia, sempre più italiani in Svizzera: in un anno 50 casi

L'eutanasia su un minore, un ragazzo di 17 anni in Belgio riapre, in Italia, lo scontro etico-politico. Mentre la legge è ferma in commissione alla Camera da tre anni, i malati chiedono una maggiore diffusione delle terapie anti-dolore, le associazioni si preoccupano di aiutare chi vuole andare a morire in Svizzera e, clandestinamente, pazienti, parenti e sanitari prendono decisioni finali.

I sedativi

“Il minore soffriva di dolori fisici insopportabili. I dottori hanno usato dei sedativi per indurre il coma come parte del processo”, ha spiegato Wim Distelmans, diretto del Centro di controllo dell’Eutanasia in Belgio dove è morto il minore. Poche parole, secche. E, per la prima volta al mondo, l’applicazione della così detta “dolce morte” su un malato under 18. Uno shock che le associazioni pro-eutanasia hanno utilizzato per togliere il velo ad una situazione che, non si vede, ma esiste attorno a noi.

Le telefonate

Tra Exit, l’Associazione italiana per il diritto a una morte dignitosa (30mila soci e 20 anni di attività), e SOS eutanasia- Associazione Coscioni, si contano oltre 100 richiesta a settimana di persone che chiedono di mettere fine alla propria vita. Richieste che raccontano storie di malattie recenti o croniche. Due esempi: “Sono tetraplegico da 5 anni, dopo numerose complicazioni cliniche il mio corpo è diventato una prigione che mi arreca sofferenza togliendomi autonomia. Necessito di assitemza continua. Sono stanco e non voglio continuare a vivere così. Ero un atleta abituato a una vita dinamica e il mio corpo era un perfetto strumento che ora mi sta imprigionando” e “Ho 70 anni e una neuropatia degenerativa progressiva. Mi ritrovo semi-allettata e non muovo più le gambe. Dipendo da un’altra persona che mi aiuta in tutto. Vorrei andare in Svizzera, ma non ho soldi. Mio marito è morto 13 anni fa. Non sono più in grado di provvedere a me stessa”.

Le visite

Circa 50 l’anno gli italiani che, dopo esami e visite, arrivano nei centri svizzeri. Solo una minima parte riesce ad arrivare in Svizzera: Perché molti desistono, perché non rientrano nelle linee guida elvetiche. Il paziente deve inviare le cartelle cliniche e le dichiarazioni mediche del suo stato.

“Questi numeri sono in continua crescita – spiega Emilio Coveri, presidente di Exit Italia – a giudicare dalla crescita vertiginosa delle chiamate che riceviamo. Non vedo perché debbano continuare a soffrire o andare incontro a un’eutanasia clandestina”. Mina Welby e Marco Fraticelli di SOS eutanasia-Associaizone Coscioni annunciano che riprenderanno presto con l’organizzazione di viaggi di malati terminali in Svizzera.

Da parte dei medici la richiesta più urgente è quella di intensificare le cure palliative che, in molte regioni, sono quasi inesistenti. Sono 230 gli hospice in Italia, in totale 2524 posti letto. La più alta concentrazione è al Nord e al Centro con 2000 posti. Appena il 16,2% di tutti quelli disponibili. Di fatto, il 40% delle persone affette da dolore non ricevono un trattamento adeguato. Oltre agli adulti, anche gli adolescenti e i ragazzi, negli ultimi giorni di vita, chiedono di non soffrire.

La terapia

“Ogni paziente, anche quando non è guaribile – fa sapere Corrado Cecchetti, responsabile dell’Area Rossa dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma – è sempre curabile. Ma serve un approccio palliativo vero, un controllo della sofferenza che deve essere vero e totale. Ricordiamo che i bambini e i ragazzi, per non vedere la sofferenza dei genitori, nascondono la propria sofferenza.

Dalla Chiesa il fermo “no” a qualsiasi pratica che provochi la morte per mano dell’uomo. “Accogliere la vita in tute le sue fasi” è l’appello del presidente della CEI. Il cardinale Angelo Bagnasco, dopo il caso del minore in Belgio. 

sito del Messaggero 

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