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Un dolore senza fine. Ricordo delle foibe

Tragedia giuliano dalmata, il 10 febbraio è “Giorno del ricordo” - Avvenire

Un dolore senza fine. Ricordo delle foibe
“Quando sento la parola esodo, cominciano a lacrimare occhi”, racconta Massimo Gustincich, classe 1930, che dovette abbandonare Fiume a sedici anni e che vive a Roma, nel quartiere giuliano dalmata sorto nella periferia capitolina negli anni cinquanta. E Fabio Colussi, scappato “a nove o dieci anni”, il dolore dell’esodo “non cessa mai”. 

Cominciò dopo l’8 settembre 1943 il dramma per gli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, che poi esploderà con l’occupazione dell’esercito di Tito e l’annessione alla Jugoslavia. Mentre sull’Europa soffiavano venti di pace, i giuliano dalmati venivano uccisi o costretti ad abbandonare la terra dov’erano nati e vissuti e che era italiana dal 1920. 

Le truppe titine rastrellavano gli italiani nei campi di concentramento o li gettavano nelle foibe, spesso mani e piedi legati col fil di ferro. Deportando e uccidendo non solo chi era stato fascista, ma anche chi i fascisti li aveva combattuti. E a Pola, per esempio, presero di mira gli operai.

Tito mise in atto una pulizia etnica: i profughi istriani, fiumani e dalmati alla fine saranno 300mila e – si stima – almeno 15mila i morti ammazzati. Bambini e donne e uomini che, dal 2004, nel nostro Paese vengono ricordati ogni dieci febbraio, il “Giorno della memoria”. E "potrà essere nuovamente concessa una medaglia commemorativa ai parenti delle persone soppresse e infoibate in Istria, a Fiume, in Dalmazia", ha fatto sapere la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani.

Quant’è rimasto a Fiume del cuore di Gustincich? “Non ho più cuore - risponde -. È rimasto tutto lì”.

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